mercoledì 29 agosto 2018

Il sorteggio timido


Se non possiamo che ringraziare Beppe Grillo per aver gettato il tema del sorteggio come una grossa pietra nello stagno delle acque morte della politica, dobbiamo constatare che - ahimè - i cerchi concentrici causati dall'impatto non vanno più in là di alcune delle timide proposte già prese in esame (e superate) nel nostro libro.
Due esempi di queste timorose "aperture" le troviamo su L'Espresso (grazie all'amico Stefano Casini per avercele segnalate: confessiamo di non leggere più da anni il settimanale del gruppo editoriale di De Benedetti, tessera n.1 del Partito Democratico, e dunque editore quantomai di parte in tema di sistema di governo, di cui il suo collaboratore Eugenio Scalfari non cessa di decantare i meriti pur riconoscendone la natura oligarchica), e le potete leggere nelle foto che riportiamo qui sotto.



L'autore (a noi ignoto) del primo articolo definisce l'uscita di Grillo "un po' troppo grillina" e sentenzia che non si possono abolire le elezioni "sostituendole con una partita a dadi". La sortition, secondo lui, usata come correttivo può servire a rivitalizzare i Parlamenti, ma non sia mai che ne "bruci l'anima"! Accetta perciò, bontà sua (e del suo datore di lavoro, evidentemente), che si affidino a una rappresentanza di cittadini estratti a sorte le funzioni nelle quali i parlamentari sono in evidente conflitto d'interessi (cause d'ineleggibilità e incompatibilità, legge elettorale, misura delle indennità di senatori e deputati...), e che una piccola (attenti a non esagerare!) quota di cittadini sorteggiati vada a integrare la composizione delle Camere.


Va un po' più oltre Michele Ainis, che dimostra quantomeno di conoscere la Storia della Democrazia e l'uso che del sorteggio (e non solo) è già stato fatto in passato. D'altronde non è la prima volta che si esprime sull'argomento. L'aveva già fatto in tempi non sospetti sulle pagine del più importante quotidiano italiano, come abbiamo relazionato nel nostro saggio:

Il costituzionalista Michele Ainis, Professore Ordinario di Diritto Pubblico alla facoltà di Lettere e Filosofia di Roma Tre, nell’articolo Per una politica meno distante occorre una Camera dei cittadini” apparso sul Corriere della Sera il 2 gennaio 2012 sottoscrive l’idea di istituire una Camera formata per sorteggio con funzioni di stimolo e controllo sulla Camera elettiva. Questo, secondo lo studioso, dovrebbe diminuire il potere delle segreterie politiche e restituire valore alla rappresentanza che oggi esclude i giovani, le donne e i disoccupati. Ma in fondo siamo tutti esclusi, da questo Parlamento, chiosa Ainis sottolineando come quella del sorteggio non sia proprio un’idea bislacca, ma stia anzi prendendo piede in tutto il mondo, quantomeno nelle esperienze di governo municipale. Pensiamoci a fondo,” conclude il costituzionalista, “prima di gettare queste idee nel cestino dei rifiuti. Non è forse un’aristocrazia quella da cui siamo governati? Una Camera di cittadini sorteggiati (...) aiuterebbe le nostre istituzioni a trasformarsi nello specchio della società italiana. (...) Se l’utopia è il motore della storia, adesso ne abbiamo più che mai bisogno per continuare la nostra storia collettiva”.

Ainis si spinge dunque a suggerire che un'intera Camera sia composta di cittadini estratti a sorte. Sicuramente una proposta già più avanzata di quelle del solerte giornalista su citato, ma a nostro parere ancora insufficiente a cambiare realmente lo stato delle cose e mettere fine alle storture sempre crescenti di un sistema politico che sta dimostrando ormai tutti i suoi vizi e limiti. Citiamo ancora dal nostro studio:

Conosciamo i nostri polli, e abbiamo già visto troppi tentativi ed esperienze di democratizzazione essere accettati, assorbiti, digeriti, snaturati e poi espulsi dagli squali della “politica professionale”. Per le oligarchie al potere le cose vanno bene così come sono, e i cambiamenti sono per loro accettabili solo se assicurano più potere, non certo se rischiano di ridurlo o addirittura eliminarlo. Ogni “passo a metà” che i professionisti della politica dovessero accettare, sarebbe immediatamente seguìto da una serie di azioni tese a minimizzare e squalificare l’esperimento, per poter dire: “Vedete, non funziona, è inutile, è controproducente... servono i migliori per governare un paese. I cittadini comuni non sono capaci di farlo”. In un contesto che già oggi vede entrambe le Camere del Parlamento svuotate di fatto di qualsiasi potere decisionale, passato nelle mani del Presidente del Consiglio e del suo Governo, a loro volta manovrati dalla sovrastruttura europea e dai centri di potere industrial-finanziario, figuriamoci che possibilità di intervento reale potrebbe avere una Camera dai “poteri circoscritti”! Servirebbe al massimo per essere esibita come foglia di fico “democratica”, e quand’anche apportasse qualche minimo miglioramento al funzionamento del sistema, darebbe solo modo ai politici eletti di sostenere che, sì, c’era bisogno di un correttivo, e visto che ora tutto funziona perfettamente, meglio non rischiare ulteriori cambiamenti. In attesa dell’occasione di liberarsi una volta per tutte dell’indesiderato “corpo estraneo”.
Ma noi abbiamo visto qual è la natura del sistema oligarchico e quale quella dei partiti, strumento specifico della rappresentanza selezionata tramite elezioni, e ci è chiaro che le cose non cambieranno finché elezioni e partiti non saranno stati eliminati dalla vita politica. Se, come sostiene Paolo Flores D’Arcais, serve “un movimento di opinione” che faccia di questa riforma un suo convinto cavallo di battaglia, perché darsi tanta pena solo per avere una minoranza di estratti a sorte in Parlamento e non cambiare invece in modo radicale la natura stessa del sistema approdando - finalmente - a una vera forma di democrazia che veda i cittadini, ogni cittadino e cittadina, essere di volta in volta governàti e governanti? 


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