In occasione del 35esimo anniversario della scomparsa di Enrico Berlinguer, Marco Travaglio ne approfitta per sbeffeggiare (giustamente) su il Fatto Quotidiano il segretario piddino Zingaretti che, a proposito della notissima intervista dello scomparso sulla "questione morale", prova a predicare bene mentre il suo partito continua a razzolare malissimo.
Richiamando il testo esatto dell'intervista, Travaglio ricorda che secondo Berlinguer i partiti non facevano più politica, ma erano ormai "macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune… Non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un ‘boss’ e dei ‘sotto-boss’”, e "hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal governo, (...) gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai Tv, alcuni grandi giornali.".
Travaglio puntualizza che il segretario del defunto PCI si riferiva alla Dc e al Psi. Sia lui che Berlinguer dimenticano che in realtà anche il PCI, dove poteva (nelle regioni rosse in primis), stava facendo la stessa cosa: chi c'era sa benissimo che in città e province governate dal Partito Comunista, se avevi la tessera in tasca un posto di lavoro in qualche azienda di trasporto o organizzazione di portuali lo trovavi più facilmente. Ma non ci interessa dire che ad accomunare tutti i partiti, PCI incluso, fossero corruzione e intrallazzi: sulla natura nefasta, "religiosa" e intrinsecamente totalitaria dei partiti ha già detto tutto quello che c'era da dire Simone Weil (nel nostro saggio ne diamo ampiamente conto), e questa non cambia quale che sia l'evoluzione che essi subiscono nelle differenti epoche, situazioni geopolitiche e sociali. Che diventino dittature o comitati d'affari (difficile dire cosa sia peggio), una cosa è certa: in quanto strutture gerarchicamente verticistiche, non hanno MAI avuto intenti o tantomeno esiti democratici, ma sempre e soltanto lo scopo di affidare alle segreterie la gestione del potere, maggiore o minore, di volta in volta conquistato.
Ci perdonino perciò coloro che, nello squallore dell'attuale "politica del pubblico" o "dello spettacolo", come la definisce Bernard Manin, tendono a verniciare di santità passate figure di segretari-oligarchi di partito come Berlinguer. Noi preferiamo continuare a perseguire l'obiettivo del passaggio a una reale democrazia, dove cittadine e cittadini prendano a turno in prima persona le decisioni sulla propria vita, spazzando via una volta per tutte partiti e politici di professione, più o meno corrotti, più o meno "santi".