Forse la sinistra (come la destra) dovrebbe cominciare a farsi delle domande sulla natura delle ideologie otto-novecentesche e sui partiti che le esprimono. Noi, intanto, nel nostro libro abbiamo già dato le risposte.
Da "Democrazia davvero": Yves Sintomer
ne “Il potere al popolo” afferma che “sin dall’origine i
partiti nascondevano un lato oscuro. Con loro emersero delle
strutture burocratiche centralizzate e autoritarie, degli apparati
capaci di concentrare nelle loro mani il massimo del potere a scapito
della base, in sostanza un qualcosa di completamente diverso rispetto
alla promessa di democratizzazione che sembravano incarnare.”
Da
dove veniva quel “lato oscuro” ce lo spiega Simone
Adolphine Weil in “Appunti sulla
soppressione dei partiti politici”. Weil analizza e disseziona con stupefacente lucidità quell’efficace
(per il sistema oligarchico) strumento che è il partito politico
individuandone due caratteristiche principali: il totalitarismo e la
derivazione religiosa.
In
merito al primo punto, ella spiega come nel pensiero politico
francese del 1789 non rientrasse l’idea di partito, “se non come
quella di un male da evitare”. Finché il club dei giacobini, da
luogo di libera discussione, per la pressione della guerra e della
ghigliottina non si trasformò in un partito totalitario. La
concezione politica alla base di divisioni e lotte tra le varie
fazioni durante il periodo del Terrore è secondo Weil ben
rappresentata nella frase del sindacalista e rivoluzionario russo
Michail
Pavlovič Tomskij:
“Un partito al potere e tutti gli altri in prigione”.
“Così”,
commenta Weil “sul continente europeo, il totalitarismo è il
peccato originale dei partiti.” E prosegue elencando le tre
caratteristiche essenziali dei partiti:
“1)
un partito politico è una macchina per fabbricare passione
collettiva;
2)
un partito politico è un’organizzazione costruita in modo da
esercitare una pressione collettiva sul pensiero di ognuno degli
esseri umani che ne fanno parte;
3)
il fine primo e, in ultima analisi, l’unico fine di qualunque
partito politico è la propria crescita, e questo senza alcun limite.
Per
via di questa caratteristica, ogni partito è totalitario in
nuce e nelle aspirazioni. Se non lo è nei fatti, questo accade solo
perché quelli che lo circondano non lo sono di meno.”
Alla
luce di questa difficilmente confutabile lettura, il fascismo e il
nazismo non ci appaiono più come una degenerazione della politica
“democratica”, ma soltanto come il risultato della capacità di
Benito Mussolini e Adolf Hitler di portare i propri partiti a
prevalere tomskijanamente su quelli che li circondavano. Duce e
führer
non erano due mostri finiti per caso nell’agone politico, ma il
frutto diretto e d’eccellenza della natura dei partiti.
(...)
Arriviamo alla seconda caratteristica
dei partiti politici: la derivazione religiosa.
“Il
meccanismo di oppressione spirituale e mentale proprio dei partiti è
stato introdotto nella storia dalla chiesa cattolica, nella sua lotta
contro l’eresia”, afferma la filosofa. “Un
convertito che fa il suo ingresso nella chiesa (...) ha visto nel
dogma il vero e il bene. Ma varcando la soglia professa allo stesso
momento di non essere colpito dagli anathema
sit
(“sia anatema!”), ovverossia di accettare in blocco tutti gli
articoli di
stretta fede.
Questi articoli non li ha studiati. Persino a chi fosse dotato di un
alto grado di intelligenza e cultura, una vita intera non basterebbe
a questo studio, dato che implica anche quello delle circostanze
storiche di ogni condanna.
Come
aderire ad affermazioni che non si conoscono? È sufficiente
sottomettersi incondizionatamente all’autorità che le ha emanate.
(…)
Il
movente del pensiero non è più il desiderio incondizionato,
indefinito, della verità, ma il desiderio della conformità a un
insegnamento prestabilito.”
Weil
constata come chi entri in una chiesa, in un partito o in qualsiasi
altra organizzazione identitaria, adotti docilmente quella
disposizione d’animo che ben presto lo porterà a esprimersi con
frasi tipo: “come monarchico, come socialista, penso che…”. È
il meccanismo dell’appartenenza, che non si limita ai soli partiti
e ci fa sembrare
del tutto naturale e ragionevole poter dire: “in quanto
conservatore credo che…”, “come socialista, ritengo che…”,
“come italiano, penso che…”, “come cattolico, posso dire
che…”, o addirittura: “in quanto juventino, sono convinto
che...”. Sentendosi membri di un gruppo del quale si condivide una
verità
dottrinaria,
non dobbiamo più neppure fare lo sforzo di pensare. “È una
posizione così confortevole!” sembra sorridere la studiosa
francese. “Non c’è nulla di più confortevole del non pensare.”
Chi
si avvicina a un partito probabilmente ha riscontrato negli ideali da
quello propagandati valori e scelte che condivide, ma naturalmente
non può conoscere l’esatta posizione del partito in merito a ogni
possibile problema della vita pubblica. Dunque, entrando in
quell’organizzazione, esattamente come il fedele che aderisce a una
chiesa, ne accetta a priori ogni scelta futura. Condividendone
generalmente gli ideali (la propaganda), si affida per il resto
all’autorità del partito, sottomettendosi a essa. E nel percorso
che farà come membro di quel raggruppamento avrà due sole strade:
continuare ad accettare le posizioni del partito senza discutere (e
magari senza neanche esaminarle), oppure contestarle quando le
ritenesse sbagliate. In questo secondo caso cosa può succedere? Che
all’interno dell’organizzazione si creino diverse scuole di
pensiero, quelle che nel linguaggio della politica vengono chiamate
“correnti”. Per un tempo più o meno lungo esse possono
convivere, ma prima o poi finiranno per scontrarsi, di solito in
occasione di un congresso che vedrà uscire una mozione vincente e
una o più mozioni perdenti. I sostenitori di queste ultime possono
abbozzare e attendere una possibile rivincita in occasione di un
successivo congresso o, esattamente come accade in ambito religioso,
scegliere di uscire dal partito creandone un altro che abbia per
ideale e programma quello contenuto nella mozione sconfitta. Si
tratta né più né meno di uno scisma, o scissione, come visto più
volte nella storia del Cristianesimo: l’organizzazione religiosa
che ritiene di essere la
chiesa autentica
allontana, non ritenendoli più in linea con la dottrina ufficiale,
alcuni dei suoi membri o viene da essi abbandonata per formare una
nuova chiesa basata su una diversa interpretazione delle Scritture.
Il fenomeno si è ripetuto più volte nel
corso della storia. A causa di eresie e scismi le congregazioni
religiose si dividono in diverse confessioni,
ognuna delle quali reclama per sé lo status
di vera e unica Chiesa. Non diversamente fanno i partiti, ognuno dei
quali viene motivatamente ritenuto da Weil “una
piccola chiesa profana armata della minaccia della scomunica.” (...)
Sulla
natura religiosa delle ideologie politiche ironizza, da par suo,
Bertrand Russell. Secondo il filosofo “lo
schema ebraico della storia passata e futura è tale da costituire un
potente appello agli oppressi e agli infelici di ogni tempo.
Sant’Agostino adattò questo modello al Cristianesimo; Marx al
Socialismo. Per capire Marx dal punto di vista psicologico si può
usare il seguente dizionario:
Jahveh
= Il materialismo dialettico.
Il
Messia = Marx.
Gli
eletti = Il proletariato.
La
Chiesa = Il Partito Comunista.
La
Seconda Venuta = La Rivoluzione.
L’Inferno
= La punizione dei capitalisti.
Il
Millennio = La Società comunista.
I
termini a sinistra del segno d’uguaglianza danno il contenuto
emotivo, familiare a coloro che hanno avuto un’educazione cristiana
o ebraica, che rende credibile l’escatologia di Marx. Un dizionario
analogo poteva esser fatto per i nazi, ma le loro concezioni sono più
schiettamente da Vecchio Testamento e meno cristiane di quelle di
Marx, e il loro Messia somiglia più ai Maccabei che a Cristo.”
È
ancora Weil a riflettere su come
tra l’attaccamento a un partito e l’attaccamento a una chiesa o
all’attitudine antireligiosa non vi sia grande differenza. “Si è
pro o contro la fede in Dio, pro o contro il cristianesimo, e così
via. Quasi dappertutto (...) l’operazione di prendere partito, di
prendere posizione pro o contro, si è sostituita all’operazione
del pensiero. Si
tratta di una lebbra che (...) si è espansa, attraverso tutto il
paese, alla quasi totalità del pensiero.” E aggiunge che per
rimediare a questa lebbra, che ci sta uccidendo, occorre provvedere
alla
“soppressione dei partiti politici. (…) Si
ammette che lo spirito di partito acceca, rende sordi alla giustizia,
spinge anche le persone oneste all’accanimento più crudele contro
gli innocenti. Lo si ammette, ma non si pensa a sopprimere gli
organismi che fabbricano un tale spirito.”
La
filosofa francese osserva come, in conseguenza dell’esistenza dei
partiti, in qualsiasi paese diventi impossibile occuparsi degli
affari pubblici senza aderire a un partito e accettarne il gioco. A
chiunque sia interessato al bene pubblico non restano che due
opzioni: rinunciare in partenza o passare “dal
laminatoio dei partiti. (…) In questo caso sarà preso da
preoccupazioni che escludono quella per il bene pubblico. (…) Ne
risulta che - eccezion fatta per un piccolo numero di coincidenze
fortuite - vengono decise e intraprese soltanto misure contrarie al
bene pubblico, alla giustizia e alla verità.”
Dopo
aver constatato quanto l’influenza dei partiti abbia contaminato
l’intera vita mentale della nostra epoca, Weil conclude che “è evidente, dopo un attento esame, che
qualunque soluzione implicherebbe innanzitutto la soppressione dei
partiti politici. (…) Il fatto che esistano non è in alcun modo un
motivo per conservarli”, visto che costituiscono “un
male senza mezze misure. Sono nocivi nel principio, e dal punto di
vista pratico lo sono i loro effetti. La
soppressione dei partiti costituirebbe un bene quasi allo stato puro.
È perfettamente legittima nel principio e non pare poter produrre, a
livello pratico, che effetti positivi.”
Per
consentire a cittadini e cittadine, una volta eliminati i partiti, di
poter gestire finalmente in prima persona la cosa pubblica “è
necessario un meccanismo adatto”, chiosa la studiosa francese. “Se
la democrazia costituisce tale meccanismo, è buona. Altrimenti no.”