lunedì 14 gennaio 2019

Giornalisti che cascano dal pero


Nella rubrica delle "Lettere al direttore", sul Corriere della Sera, il signor Sergio Guadagnolo si interroga sulle "recenti espulsioni di alcuni parlamentari nel M5s", e si chiede se "le forze politiche con il pensiero unico, che al loro interno non permettono il dissenso, possono essere considerate democratiche".
Gli risponde il direttore Luciano Fontana: "Il tema della democrazia interna ai partiti è molto importante soprattutto nella tanto decantata era digitale della politica. Si è detto e scritto molto sulla partecipazione dei cittadini, sull’«uno vale uno», sull’avvento della democrazia diretta ma poi i partiti vengono guidati come caserme. Non si puniscono con l’espulsione solo comportamenti irregolari e illegali ma anche il dissenso e la minima deviazione dalle regole stabilite per tutti dai pochi che comandano davvero."
La natura non addomesticata del caotico (anche se poi pronto come tutti gli altri partiti  a inchinarsi ai diktat di chi davvero comanda in Europa) Movimento Cinque Stelle agita queste anime belle che sembrano scoprire solo ora e solo nei confronti del partito di Grillo quella che è da sempre la natura dei partiti. Di tutti i partiti. L'aveva indagata in modo esaustivo e lucido già più di mezzo secolo fa Simone Weil, come ricordiamo nel nostro "Democrazia davvero":

Weil analizza il comportamento dei membri di un partito, di qualsiasi partito. Se uno di essi si impegnasse in pubblico, ogni volta che deve esaminare un problema relativo al bene comune, a farlo cercando di scegliere per il meglio senza tener conto del proprio partito di appartenenza, verrebbe immediatamente osteggiato dai compagni e accusato di tradimento. Gli verrebbe chiesto perché mai abbia aderito alla loro organizzazione, ammettendo così candidamente che chi entra in un partito politico rinuncia a ricercare il bene pubblico. Quell’incauto verrebbe subito allontanato, “scomunicato”. 
E qui arriviamo alla seconda caratteristica dei partiti politici: la derivazione religiosa. 
“Il meccanismo di oppressione spirituale e mentale proprio dei partiti è stato introdotto nella storia dalla chiesa cattolica, nella sua lotta contro l’eresia”, afferma la filosofa. “Un convertito che fa il suo ingresso nella chiesa (...) ha visto nel dogma il vero e il bene. Ma varcando la soglia professa allo stesso momento di non essere colpito dagli anathema sit (“sia anatema!”), ovverossia di accettare in blocco tutti gli articoli di stretta fede. Questi articoli non li ha studiati. Persino a chi fosse dotato di un alto grado di intelligenza e cultura, una vita intera non basterebbe a questo studio, dato che implica anche quello delle circostanze storiche di ogni condanna. Come aderire ad affermazioni che non si conoscono? È sufficiente sottomettersi incondizionatamente all’autorità che le ha emanate. (…) Il movente del pensiero non è più il desiderio incondizionato, indefinito, della verità, ma il desiderio della conformità a un insegnamento prestabilito.” 


Chi si avvicina a un partito probabilmente ha riscontrato negli ideali da quello propagandati valori e scelte che condivide, ma naturalmente non può conoscere l’esatta posizione del partito in merito a ogni possibile problema della vita pubblica. Dunque, entrando in quell’organizzazione, esattamente come il fedele che aderisce a una chiesa, ne accetta a priori ogni scelta futura. Condividendone generalmente gli ideali (la propaganda), si affida per il resto all’autorità del partito, sottomettendosi a essa. E nel percorso che farà come membro di quel raggruppamento avrà due sole strade: continuare ad accettare le posizioni del partito senza discutere (e magari senza neanche esaminarle), oppure contestarle quando le ritenesse sbagliate. In questo secondo caso cosa può succedere? Che all’interno dell’organizzazione si creino diverse scuole di pensiero, quelle che nel linguaggio della politica vengono chiamate “correnti”. Per un tempo più o meno lungo esse possono convivere, ma prima o poi finiranno per scontrarsi, di solito in occasione di un congresso che vedrà uscire una mozione vincente e una o più mozioni perdenti. I sostenitori di queste ultime possono abbozzare e attendere una possibile rivincita in occasione di un successivo congresso o, esattamente come accade in ambito religioso, scegliere di uscire dal partito creandone un altro che abbia per ideale e programma quello contenuto nella mozione sconfitta. Si tratta né più né meno di uno scisma, o scissione, come visto più volte nella storia del Cristianesimo: l’organizzazione religiosa che ritiene di essere la chiesa autentica allontana, non ritenendoli più in linea con la dottrina ufficiale, alcuni dei suoi membri o viene da essi abbandonata per formare una nuova chiesa basata su una diversa interpretazione delle Scritture. Il fenomeno si è ripetuto più volte nel corso della storia. A causa di eresie e scismi le congregazioni religiose si dividono in diverse confessioni, ognuna delle quali reclama per sé lo status di vera e unica Chiesa. Non diversamente fanno i partiti, ognuno dei quali viene motivatamente ritenuto da Weil “una piccola chiesa profana armata della minaccia della scomunica.”


Si rasserenino, dunque, il signor Guadagnoli e il solerte direttore: il M5S è un partito come tutti gli altri, strumento funzionale al sistema oligarchico che ci governa spacciandosi per democrazia. Aspettarsi perciò di trovare quest'ultima nel funzionamento dei partiti è come sperare di trovare Chanel n. 5 nella cisterna di un camion degli spurghi. E Luciano Fontana, come praticamente tutti i suoi colleghi giornalisti, o non si è mai interrogato seriamente sulla natura di quella che chiama democrazia, o è in malafede.


martedì 8 gennaio 2019

Dove ci siamo andati a Cacciari!


Il professor Massimo Cacciari, filosofo prestato anche alla politica, è preoccupato per le sorti della Democrazia. Se ne lamenta in un articolo su L'Espresso: "...mai si era giunti a un tale livello di nefandezza, mai cosi palesemente si era irriso alle funzioni delle assemblee che si osa ancora chiamare legislative." Tutto perché, da un bel po' di anni, si ricorre alla fiducia per far passare le leggi. Uno studioso un po' più attento si sarebbe anche accorto che i parlamenti (tutti) dei paesi che hanno aderito all'Europa, sono stati di fatto commissariati da una troika di nominati che detta, con la pronta condiscendenza di alcuni singoli governi-maggiordomo o brandendo l'arma dello spread contro chi non si dimostra così solerte all'obbedienza, le regole alle quali i paesi non possono che allinearsi. Ma lasciamo perdere, forse Cacciari non è interessato a quanto avviene oltre i confini.
Davanti a una situazione come l'attuale, "per certi versi drammatica e per altri vergognosa", cosa propone l'eminente analista? Suggerisce di rispondere "con un ridisegno completo della struttura del nostro Stato, ridistribuendo poteri e funzioni tra centro, regioni e enti locali; con un rafforzamento delle assemblee legislative, riducendo drasticamente il numero dei rappresentanti, eliminando il senato, rivedendo i regolamenti cosi da rendere ancora più rapide le procedure, ma limitando a un tempo radicalmente la possibilità di ricorrere alla fiducia; oppure ancora in un senso decisamente e coerentemente presidenzialista."



Caro Cacciari, se ti fossi preso la briga di leggere, non diciamo il nostro saggio, ma almeno "Contro le elezioni" di David Van Reybrouck, forse avresti capito che il problema non è quello dell'efficienza del sistema (in quel caso, la soluzione migliore è da sempre un imperatore, un re o quantomeno un tiranno), ma la natura dello stesso, nel mondo occidentale da un paio di secoli oligarchica. Se ti rendessi conto di questo (e, senza accorgertene, lo fai in un altro articolo, quando scrivi che "la democrazia implica fisiologicamente in sé valori aristocratici") capiresti che non si può ottenere una efficace democrazia perfezionando un sistema che è invece strumento di una voluta oligarchia. Sì, lo sappiamo, tu in questo sistema di potere hai sguazzato a lungo, come intellettuale e pure come amministratore, ed è comprensibile che ti ci trovi a tuo agio e che a darti fastidio sia solo il fatto che non lo facciano funzionare come piacerebbe a te. A noi invece sembra che il sistema basato su partiti, elezioni e parlamento, studiato fin dall'inizio per tenere alla larga qualsiasi esperimento di reale democrazia, stia solo mostrando le proprie contraddizioni insanabili. Sì, hai letto bene: insanabili.
Non avertene a male, perciò, se ci facciamo due risate sulla tua analisi tutta interna all'oligarchia governante e proviamo a guardare fuori da essa, dove una vera alternativa esiste: quella di approdare - per la prima volta nella storia - a un sistema realmente democratico dove cittadine e cittadini possano decidere in prima persona della propria vita. Gli strumenti per farlo ci sono. Per vederli, basta togliersi il paraocchi della oligarchia spacciata per democrazia con cui ci hanno cresciuti. Non è facile, ma con un po' di volontà ci si arriva.




giovedì 3 gennaio 2019

Il gioco della Democrazia


Chiunque analizzi, anche senza andare molto in profondità, il sistema di governo che ci hanno abituato a chiamare democrazia si rende facilmente conto che nella struttura basata su partiti, elezioni e parlamento di democratico non c'è proprio niente. Il presunto "governo del popolo", in realtà risulta fatto in modo da impedire a cittadine e cittadini di decidere alcunché, se non la periodica scelta di sigle e candidati preconfezionati per mandare al governo del Paese poche persone facenti parte di una ristretta cerchia di "professionisti della politica", corruttibili e manovrabili da chi davvero muove i fili della gestione del Paese.
Se (ormai lo ammette candidamente persino Eugenio Scalfari, che di questo sistema è il primo paladino) il nostro sistema è - dalla nascita - una tipica oligarchia, che ci sarebbe di male a chiamarla col suo nome? Il fatto è che "oligarchia" è una brutta parola, e chi si ammanta dei panni di cavaliere senza macchia e senza paura proteggendosi dietro lo scudo della parola "democrazia", perderebbe molto del suo appeal e capacità di convinzione se ammettesse di essere invece il difensore di un "governo dei pochi", il paladino di una "casta" di carrieristi della politica che hanno come unico interesse, appunto, solo la propria carriera.

E allora facciamo un giochino: proviamo a sostituire, nei titoli di alcuni giornali pescati casualmente online, alla parola "democrazia" quella che esprime la reale natura dell'attuale sistema di governo dei paesi occidentali e occidentalizzati, "oligarchia", e - come diceva Jannacci in una sua fortunata canzone - vediamo "l'effetto che fa". Forse, così, sarà più facile cominciare ad accorgersi che qualcuno ci sta prendendo in giro da un paio di secoli.
















A che serve un presidente?

Con la grancassa di giornali e tivù (e inevitabili riverberi sui social) sta andando in onda l'elezione del presidente della repubblica....