giovedì 6 dicembre 2018

Una democrazia al 25%?



Si avvicinano le elezioni europee, e cominciano a fioccare i programmi. Lasciamo perdere il fatto che saranno tutti indistintamente dimenticati mezz'ora dopo la chiusura delle urne e soffermiamoci un attimo su quello del nuovo raggruppamento politico messo insieme dall'ex ministro delle Finanze del governo Tsipras Gianīs Varoufakīs che, forse per primo in Europa, elenca fra i suoi progetti quello di varare una legge per portare in Parlamento un quarto dei membri tramite sorteggio.




Il politico-economista non spiega come in pratica pensa di estrarre a sorte quelle persone "tra l'intero corpo dei cittadini europei" e, se il fatto che questo metodo di scelta dei rappresentanti sia stato messo nero su bianco in un programma elettorale ci rallegra sicuramente, i dubbi sulla faciloneria della proposta così come le perplessità circa la sua utilità sono grandi come montagne. Come già quello di Beppe Grillo di qualche mese fa, il progetto pecca di quelle ingenuità che anche noi abbiamo attraversato all'inizio del nostro percorso verso la proposta di passaggio a una reale democrazia.
Su cosa pensiamo di queste introduzioni "timide" del sorteggio nella vita politica ci siamo già espressi in un precedente post del quale ci limitiamo qui a riportare poche frasi:

Il limite della proposta dello showman è duplice, da una parte perché vuole applicare una metodologia democratica come il sorteggio a un'istituzione oligarchica come il parlamento. (...) Dall'altra, perché propone di fare, per il momento, solo un "primo passo", limitando al Senato i selezionati per sorteggio. Abbiamo affrontato l'argomento sul nostro saggio, presentando la proposta di Democrazia Davvero:
Conosciamo i nostri polli, e abbiamo già visto troppi tentativi ed esperienze di democratizzazione essere accettati, assorbiti, digeriti, snaturati e poi espulsi dagli squali della “politica professionale”. Per le oligarchie al potere le cose vanno bene così come sono, e i cambiamenti sono per loro accettabili solo se assicurano più potere, non certo se rischiano di ridurlo o addirittura eliminarlo. Ogni “passo a metà” che i professionisti della politica dovessero accettare, sarebbe immediatamente seguìto da una serie di azioni tese a minimizzare e squalificare l’esperimento, per poter dire: “Vedete, non funziona, è inutile, è controproducente... servono i migliori per governare un paese. I cittadini comuni non sono capaci di farlo” (...) e quand’anche apportasse qualche minimo miglioramento al funzionamento del sistema, darebbe solo modo ai politici eletti di sostenere che, sì, c’era bisogno di un correttivo, e visto che ora tutto funziona perfettamente, meglio non rischiare ulteriori cambiamenti. In attesa dell’occasione di liberarsi una volta per tutte dell’indesiderato “corpo estraneo”.

Dunque, caro Varoufakīs, accogliamo la tua proposta politica come tutte le altre: tenendoci alla larga dal rito finto-democratico delle elezioni.




martedì 4 dicembre 2018

UNA DEMOCRAZIA PER IVAN ILLICH



Si è tenuto sabato e domenica, a Livorno, nella sfarzosa cornice della Sala degli Specchi del Museo Fattori, il dodicesimo Convivio dedicato alla figura e al pensiero di Ivan Illich, importante figura di libero pensatore anarchico.

Noi lo abbiamo scoperto in questa occasione e, invitati a contribuire a ricordarlo - aggiornandone la riflessione - abbiamo studiato alcune sue opere e preparato (a quattro mani) l'intervento qui sotto che è stato letto con l'abituale nitidezza e passione da Maila Nosiglia.




Democrazia e convivialità
Dice Ivan Illich nel suo saggio “La convivialità”: “Il rapporto conviviale, sempre nuovo, è opera di persone che partecipano alla creazione della vita sociale.» 

“La società conviviale è una società che dà all'uomo la possibilità di esercitare l'azione più autonoma e creativa, con l'ausilio di strumenti meno controllabili da altri.
La scelta austera dello strumento conviviale è garanzia d'una libera espansione dell'autonomia e della creatività umane.
Allorché agisco in quanto uomo, mi servo di strumenti. A seconda che io li padroneggi o che viceversa ne sia dominato, lo strumento mi collega o mi lega al corpo sociale. Nella misura in cui io padroneggio lo strumento, conferisco al mondo un mio significato; nella misura in cui lo strumento mi domina, è la sua struttura che mi plasma e informa la rappresentazione che io ho di me stesso. Lo strumento conviviale è quello che mi lascia il più ampio spazio e il maggior potere di modificare il mondo secondo le mie intenzioni."
"Ma - continua Ivan Illich - lo strumento è conviviale nella misura in cui ognuno può utilizzarlo, senza difficoltà, quando e quanto lo desideri, per scopi determinati da lui stesso. L'uso che ciascuno ne fa non lede l'altrui libertà di fare altrettanto; né occorre un diploma per avere il diritto di servirsene. Tra l'uomo e il mondo, lo strumento conviviale è conduttore di senso, traduttore di intenzionalità.” E qui finiscono le citazioni.

Una struttura istituzionale può essere conviviale, cioè massimizzare la libertà della persona o no. Marcello Toninelli e io abbiamo percepito, a un punto della nostra vita, che qualsiasi cosa noi avessimo fatto in questo sistema non sarebbe servita a niente, perché questo sistema è fatto per digerire, inglobare, trasformare qualsiasi energia, poiché gli strumenti, per dirla con Illich, sono non più maneggiabili, ma manipolabili. Qualsiasi cosa facessimo, “quell'energia naturale prodotta da chiunque mangi o respiri”, viene scientemente trasformata, nell'attuale sistema, in energia esogena (cioè esterna all'organismo umano).
Lo strumento maneggiabile richiama l'uso conviviale. Dice ancora Ilich: “Ma se l'istituzione ne riserva l'uso a un monopolio professionale, eseguibile dai soli specialisti, non solo perverte l'uso dello strumento maneggiabile, ma subito gli sostituisce lo strumento manipolabile”. Comincia allora il regno delle manipolazioni.

Ciò che oggi noi chiamiamo Democrazia è di fatto il regno della manipolazione. Da dove nasce la Democrazia moderna?
Al momento di scegliere una nuova forma di governo dopo che le rivoluzioni americana e francese avevano spazzato via il precedente sistema feudale, di una cosa erano certi proprietari terrieri, commercianti e notabili che si apprestavano a prendere le redini del potere strappato a monarchi e aristocratici: occorreva impedire l'instaurarsi di qualsiasi forma di democrazia. Sembra strano ma è così. Lo testimoniano le parole dei cosiddetti “padri fondatori”.
“La democrazia è il più odioso, il più sovversivo e, per il popolo stesso, il più nocivo dei sistemi politici.” (Antoine Barnave, politico e oratore francese, componente dell'Assemblea Nazionale Costituente).
“Considerate che una democrazia non dura mai a lungo. Essa non tarda ad appassire, s’esaurisce e causa la sua propria morte. Non c’è ancora mai stata una democrazia che non si sia suicidata.” (John Adams, secondo presidente degli Stati Uniti d'America e primo vicepresidente. Padre fondatore degli Stati Uniti d'America)
Ma si è anche convinti che “Esiste una specie di aristocrazia naturale fondata sul talento e la virtù.” (Thomas Jefferson). Questo è ciò di cui ancora oggi molti sono convinti.

Dunque, non si poteva né si doveva prendere in considerazione alcuna forma di governo assembleare, né tantomeno strumenti che ancora oggi fanno sobbalzare come l' estrazione a sorte dei rappresentanti, la temporaneità, la rotazione e la non ripetibilità degli incarichi. Consapevoli dell'importanza della posta in palio, i nuovi detentori del potere non cedettero di un passo: il sistema di governo oligarchico basato sulla rappresentanza e le elezioni era quello che rispondeva in modo perfetto alle esigenze della trionfante borghesia affaristica. Beffardamente, permetteva di controllare il popolo nel momento in cui se ne proclamava la sovranità.


L'acuta riflessione di uno dei maggiori pensatori della Rivoluzione francese, Benjamin Constant, riconosceva candidamente che in questo modo: “la sovranità è rappresentata, e questo significa che l’individuo è sovrano solo in apparenza; e se a scadenze fisse, ma rare, (...) esercita questa sovranità, è solo per abdicarvi.” Gli facevano eco Alexis de Tocqueville che parlando della democrazia diceva :“In un sistema del genere i cittadini escono per un momento dalla dipendenza, per designare i loro padroni, e poi vi rientrano.” Ma anche Jean-Jacques Rousseau scriveva:“Il popolo inglese pensa di essere libero, ma si sbaglia ampiamente, non lo è che durante l’elezione dei membri del Parlamento; appena sono eletti, lui torna schiavo, non è niente.”


Solo in un secondo momento a questo sistema di governo “dei pochi”, nato per impedire qualsiasi forma di democrazia, si cominciò ad associare l'aggettivo “democratico”, complice il citato Tocqueville, autore del saggio “La democrazia in America”. In effetti almeno un paio di elementi di reale democrazia erano (e sono ancora oggi) presenti negli USA. I più importanti sono i town meeting e le giurie popolari nei tribunali, istituzioni che ben conosce chi ha seguìto i serial televisivi. Resta il fatto che anche negli Stati Uniti il sistema di governo principale è quello prettamente oligarchico scelto a suo tempo dalla borghesia in antitesi a possibili governi democratici, e non basta qualche modesto elemento di democrazia (quale può essere in Italia l'istituto del referendum abrogativo) a cambiarne la natura: è come mettere un solitario porcino in una grande padellata di funghi non commestibili; anche se nell'aria ci sarà un vago sentore di porcini, dopo mangiato si dovrà comunque correre in bagno o all'ospedale per una lavanda gastrica.


Dalla reale natura dei governi occidentali (ma non sono stati e non sono meno oligarchici i governi cosiddetti “comunisti”, dall'Unione Sovietica alla Repubblica Popolare Cinese) nascono i problemi dell'attuale politica, e dall'inganno di aver appiccicato l'etichetta di democrazia a quella che ormai anche Eugenio Scalfari ammette essere nella sostanza un'oligarchia, deriva la difficoltà di immaginare un sistema alternativo di governo. Mentre è proprio questo che, a parer nostro, dobbiamo cercare: un sistema alternativo di governo. Lo stesso fondatore di Repubblica si barrica dietro questa giustificazione: o oligarchia (naturalmente “democratica”) o dittatura. Tertium non datur. Ma negli ultimi anni una possibile “terza via” si è invece delineata nelle analisi di molti studiosi e grazie alle pratiche di democrazia deliberativa sperimentate nel frattempo in innumerevoli Paesi: sondaggi deliberativi, consensus conferences, giurie di cittadini, planungszelle ecc.

Secondo il politologo francese Yves Sintomer, i modelli paternalisti fondati su una delega cieca ai professionisti della politica sono sempre più messi in discussione. Nella “società della conoscenza” e dei social network non è più credibile pensare che un qualsiasi “attore” possa, da solo, rappresentare l’interesse generale. In questo senso, la politica istituzionale è in grave ritardo, e l’ormai debordante corruzione dei partiti politici aggrava il quadro. Sostiene lo studioso Syntomer, appunto: “Il governo rappresentativo ha finito per attribuire il potere sostanziale a una élite, un’aristocrazia eletta ma che si autoriproduce ampiamente e viene reclutata all’interno di ristrette cerchie sociali. Per fortuna, intorno le cose si muovono velocemente e un tema come l’estrazione a sorte dei rappresentanti ha ormai un’eco che, se pur resta minoritaria, certamente non è più marginale. Quello che si può sperare, è che un insieme di attori dagli scopi eterogenei finisca per approdare a delle reali innovazioni. Ciò che è chiaro, è che occorrerebbe dar vita a un processo costituente per cambiare le logiche del sistema e non contentarsi di riforme marginali”. 

Rifondare la democrazia, ripensarla, in maniera rivoluzionaria, rodesciando cioè il punto di vista. La soluzione c'è. Basta avere il coraggio di cambiare strada. Ripetiamo con Ivan Illich: ”Lo strumento è conviviale nella misura in cui ognuno può utilizzarlo, senza difficoltà..... né occorre un diploma per avere il diritto di servirsene.“ 

Sono ormai molte le proposte per superare l'impasse dell'oligarchismo imperante e passare a una reale democrazia. Tra queste, la più articolata e razionale è sicuramente quella studiata da David Van Reybrouck (“Contro le elezioni”, Feltrinelli) insieme allo studioso statunitense Terrill Bouricius. I due prevedono una completa riarticolazione dell'architettura istituzionale eliminando quelle esistenti e propongono di ricorrere, come nell’antica Atene, all’estrazione a sorte non per una sola istituzione, ma per diverse di esse in modo da andare a costituire un sistema di freni e contrappesi nel quale un corpo sorteggiato sorvegli l’altro. Un'architettura di questo genere, come si vede, metterebbe fine all'esistenza dei partiti e a tutto quello che essi comportano: carrierismo, lotte di potere, corruzione...

Sappiamo che non è semplice. Del resto Mark Twain diceva: “è più facile ingannare la gente che convincerla di essere stata ingannata”. Ma noi ripetiamo ciò che abbiamo detto all'inizio citando Ivan Illich: la società conviviale è una società che dà all'uomo la possibilità di esercitare l'azione più autonoma e creativa, con l'ausilio di strumenti meno controllabili da altri. La scelta austera dello strumento conviviale è garanzia d'una libera espansione dell'autonomia e della creatività umane". Questo deve essere l'obiettivo.

Coloro che detengono oggi il potere, è evidente, tenteranno in ogni modo di ostacolare qualsiasi proposta che, portando a una reale democrazia, li spazzerebbe via una volta per tutte. Ma questo non ci spaventa: come recita un proverbio messicano “proveranno a seppellirci, ma non sanno che siamo semi.”



A che serve un presidente?

Con la grancassa di giornali e tivù (e inevitabili riverberi sui social) sta andando in onda l'elezione del presidente della repubblica....