giovedì 18 ottobre 2018

Le interessate analisi di un presunto giornalista


Forse è naturale che ognuno di noi, leggendo un testo, veda quello che vuole vedere e lo interpreti di conseguenza. Augias, erettosi da tempo a difensore dell'attuale sistema di governo (che anche Eugenio Scalfari, fondatore del giornale per cui lavora, ammette ormai essere una oligarchia, ma il buon Corrado sembra non saperlo) e in particolare del Partito Democratico di cui il suo datore di lavoro possiede la tessera n. 1, piega il contenuto del libro di Canfora ("La scopa di don Abbondio") esaminato in questo video a condanna dei partiti populisti tanto invisi a lui e al suo datore di lavoro.


Non abbiamo letto il libro di Canfora, ma già il passaggio (leggibile nel video) "L'odierna paralisi italiana (...) è il segnale più chiaro della fine della democrazia politica otto-novecentesca, e al tempo stesso prova che il moto dell'eterno fascismo - come lo definì Eco - non dà segni di esaurimento" ci sembra dire cose diverse da quelle che vuol fargli dire Augias.
Il fatto che l'autore metta tra virgolette "democrazia politica" dovrebbe suggerire al recensore di Repubblica che Canfora non la ritiene tale. Come riportiamo nel nostro "Democrazia davvero", il saggista (vedi il suo “Critica della retorica democratica”) dice infatti che “è improprio definire democrazia un sistema politico nel quale il voto è merce sul mercato politico, e l’ingresso nel Parlamento comporta una fortissima spesa elettorale da parte dell’aspirante rappresentante del popolo. Questo rattristante (sul piano etico prima ancora che democratico) aspetto, fondante, del sistema parlamentare resta per lo più in ombra. Il ceto politico esprime tendenzialmente le classi medio alte e abbienti.” Denunciando poi come ormai le decisioni importanti in materia economica vengano prese direttamente dagli organismi tecnici e dai vertici industriali e finanziari (di cui, guarda caso, fa parte l'editore di Repubblica, aggiungiamo noi) mentre i politici si inventano ogni giorno un tema etico su cui dibattere all’infinito per intrattenere (e distrarre) la popolazione. Canfora precisa ancora che si è instaurata una translatio imperii che rende inutili, se non come esecutori delle decisioni prese altrove, gli organismi politici sia delle singole nazioni che del Parlamento Europeo e non può più essere nascosta dietro la retorica delle elezioni quale strumento di governo popolare.


Ridurre il pensiero dello studioso a banale presa di posizione contro i "populisti", cioè gli avversari del suo datore di lavoro, è decisamente disonesto. Anche perché, in realtà, il pericolo di ritorno del fascismo (ammesso che sia mai possibile, in una situazione socio-economica così diversa da quella degli anni Venti e Trenta del Novecento: oggi industria e soprattutto finanza spadroneggiano liberamente e non c'è più nessun "pericolo rosso" da cui difendersi) non viene da singoli partiti o pseudo-movimenti, ma dalla natura stessa dei partiti in genere. Come scriveva già alla metà del secolo scorso Simone Weil, in Appunti sulla soppressione dei partiti politici”: 1) un partito politico è una macchina per fabbricare passione collettiva; 2) un partito politico è un’organizzazione costruita in modo da esercitare una pressione collettiva sul pensiero di ognuno degli esseri umani che ne fanno parte; 3) il fine primo e, in ultima analisi, l’unico fine di qualunque partito politico è la propria crescita, e questo senza alcun limite.
Per via di questa (...) caratteristica, ogni partito è totalitario in nuce e nelle aspirazioni. Se non lo è nei fatti, questo accade solo perché quelli che lo circondano non lo sono di meno.”


Alla luce di questa difficilmente confutabile lettura, il fascismo e il nazismo non ci appaiono più come una degenerazione della politica “democratica”, ma soltanto come il risultato della capacità di Benito Mussolini e Adolf Hitler di portare i propri partiti a prevalere tomskijanamente su quelli che li circondavano. Duce e führer non erano due mostri finiti per caso nell’agone politico, ma il frutto diretto e d’eccellenza della natura dei partiti. 

Risulta dunque una inutile perdita di tempo dibattere secondo le proprie convenienze su pregi e difetti di questa o quella formazione politica. L'unica via d'uscita (l'unica!) dall'attuale pantano e da pericoli di rigurgiti totalitaristici è l'approdo a una reale democrazia. Come, lo spieghiamo dettagliatamente nel nostro saggio.


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