venerdì 27 gennaio 2017

La politica della calcolatrice


Nuovo capitolo dell'eterno romanzo della legge elettorale italiana.
Su "Democrazia davvero" scrivevamo:

Negli anni Novanta, dopo una serie di inchieste giudiziarie nei confronti di esponenti della politica, dell’economia e delle istituzioni italiane che portarono alla luce un sistema di corruzione, concussione e finanziamenti illeciti ai partiti che investiva i vertici del mondo politico e finanziario, divenne sentire comune della maggioranza degli italiani la convinzione che una delle cause di quella degenerazione fosse la legge elettorale esistente, di tipo proporzionale, che innescava fenomeni negativi come clientelismo e voto di scambio. Fu presentata una serie di referendum per cercare di far approdare l’Italia a un sistema elettorale di tipo anglosassone, maggioritario, uninominale e a un turno. Il 18 aprile del 1993 andò a votare il 77% dei cittadini, e il “Sì” si impose con l’82,7% delle schede valide portando all’abrogazione della legge elettorale del Senato. Insieme al risultato ottenuto nel 1991 con il voto per la preferenza unica, quella vittoria rappresentava una bocciatura senza appello del principio proporzionale a favore di quello maggioritario.
Nel paese del “fatta la legge trovato l’inganno” e del cerchiobottismo imperante, il 4 agosto dello stesso anno il parlamento approvava le leggi n. 276 e 277 che introducevano un sistema elettorale misto composto da: un maggioritario a turno unico per la ripartizione del 75% dei seggi parlamentari, e dal recupero proporzionale dei più votati non eletti per il Senato attraverso un meccanismo di calcolo chiamato “scorporo” relativamente al rimanente 25% dei seggi assegnati; un proporzionale con liste bloccate per il rimanente 25% dei seggi assegnati alla Camera; uno sbarramento del 4% alla Camera.
Questo cervellotico sistema che riuniva tre diverse modalità di ripartizione dei seggi (quota maggioritaria di Camera e Senato, recupero proporzionale al Senato, quota proporzionale alla Camera) si guadagnò il nome di “Minotauro”, e la legge che lo istituiva fu battezzata dal politologo Giovanni Sartori “Mattarellum”, dal nome del relatore Sergio Mattarella. Marco Pannella, leader del Partito Radicale che insieme al comitato di Mario Segni era stato il principale promotore del referendum abrogativo, parlò di “tradimento” del risultato referendario, giacché con “il mantenimento del 25% di quota proporzionale, il meccanismo dello scorporo che obbliga ciascun candidato dei collegi uninominali a collegarsi con liste di partito, i contrassegni partitici che riempiono le schede elettorali e gli elettori spinti a votare più per i simboli che per le persone” la legge vanificava lo scopo del referendum.
Il “Mattarellum” rimase comunque in vigore fino al 2005, regolando le elezioni politiche italiane del ’94, del ’96 e del 2001. Senza incidere naturalmente in alcun modo sulla corruzione dilagante e lo strapotere delle segreterie (quando non direttamente dei “Capi”) dei partiti, che continuarono a operare prima di tutto nell’interesse di quella che il giornalista Gian Antonio Stella nel suo fortunato libro-inchiesta del 2007 battezzò “la Casta”.
Nel dicembre del 2005 si è rimesso mano alla legge elettorale per volontà di Silvio Berlusconi che in ottobre aveva minacciato “la crisi di governo nel caso in cui non venisse approvata la riforma elettorale proporzionale". A pochi mesi dalle elezioni politiche la legge viene approvata con i voti della maggioranza (Forza Italia, Alleanza Nazionale, Lega Nord e Unione dei Cristiani Democratici e di Centro). Lo stesso relatore Calderoli la definì qualche anno dopo “una porcata”, fornendo l’esca a Sartori per ribattezzarla “Porcellum”.
Il nuovo sistema elettorale ha modificato il precedente meccanismo misto in favore di un sistema proporzionale corretto, a coalizione, con premio di maggioranza e elezione di più parlamentari contemporaneamente in collegi estesi, senza possibilità di indicare preferenze. Con questa legge si tengono le elezioni del 2006, 2008 e 2013, finché, il 15 gennaio 2014, la Corte Costituzionale non dichiara l’illegittimità di alcune norme e costringe il parlamento a riprendere in mano la patata bollente.
Il 4 maggio dell’anno successivo viene approvata una nuova legge elettorale soprannominata “Italicum” che varrà solo per la Camera dei Deputati e non entrerà in vigore fino al 1º luglio del 2016. E la farsa continua...
Dei meccanismi “escludenti” delle varie leggi elettorali degli ultimi anni fa parte quello, particolarmente insidioso, del “voto utile”. In vario modo si spinge l’elettore a “non sprecare” il suo voto dandolo a partiti che, sulla carta, hanno poche possibilità di arrivare a contare nell’arco parlamentare. Il messaggio che passa, con grande forza, è che i voti “sprecati” andrebbero tutti a vantaggio dell’avversario. In un contesto in cui le forze politiche significative sono quelle che convergono al centro, la cui conquista è l’obiettivo dichiarato delle organizzazioni più importanti, gli eletti finiscono inevitabilmente per essere a grandissima maggioranza quelli appartenenti all’area moderata. Se a questo aggiungiamo il problema del costo delle campagne elettorali, l’identikit del politico di successo è presto disegnato: appartenente al ceto medio-alto e in carriera nei partiti maggiori.

Ora, dall'esame della Consulta è uscita una nuova legge elettorale che, salvo cambiamenti dell'ultim'ora in Parlamento, prevede questo. Con questo risultato, secondo Lucia Annunziata.


Già immaginiamo i professionisti della politica con la calcolatrice in mano, intenti a sommare le percentuali attribuite dai sondaggi ai vari partiti per studiare le alleanze utili - per le organizzazioni maggiori - a raggiungere il 40% che assegna la maggioranza dei seggi, e - per i partitini residuali - superare la soglia di sbarramento. Squallide operazioni di persone interessate solo alla propria carriera anche se si pretendono "selezionate" per servire gli interessi della comunità.


Sorpresina: nella nuova legge varata dalla Consulta si affaccia anche lo strumento del sorteggio. Motivo per gioire? Naturalmente no. Anche qualche secolo fa a Venezia, per l'elezione del Doge, si ricorreva al sorteggio ma nel contesto di una complicatissima procedura (esaminata dettagliatamente nel nostro saggio) la cui natura era di fatto quanto di più monarchico-aristocratico si potesse immaginare. Non è diverso adesso: un elemento, in sé, di democrazia non cambia la sostanza di un sistema oligarchico come quello rappresentativo basato su partiti ed elezioni.
La nostra battaglia per far approdare il Paese a una reale democrazia va dunque avanti, nel totale disinteresse verso queste beghe di cortile che riguardano solo i professionisti della politica, quelli di cui auspichiamo un precoce pensionamento. Definitivo.


Nessun commento:

Posta un commento

A che serve un presidente?

Con la grancassa di giornali e tivù (e inevitabili riverberi sui social) sta andando in onda l'elezione del presidente della repubblica....