mercoledì 6 novembre 2019

Quando la libertà dei cittadini fa paura


In un articolo di Ippolita Luzzo sulla rivista online Pangea, Paolo Ercolani (autore del saggio "Figli di un io minore") sostiene che il suffragio universale è "un lusso che non ci possiamo più permettere." E propone di togliere il diritto di voto a chi non ha un sufficiente "grado di conoscenza e consapevolezza rispetto ai rudimenti dell’educazione civica, della teoria politica, del diritto costituzionale e della storia patria".
Come si vede, è solo l'ennesimo tentativo di aggiustare (in senso elitario) il "governo dei migliori" che da sempre sta teoricamente alla base del sistema politico basato su "rappresentanti".
Invece di dar la colpa alla parte meno "preparata" del popolo, il signor Ercolani dovrebbe forse fare uno sforzo di fantasia (o almeno leggere un libro come "Contro le elezioni" di David Van Reybrouck) e valutare se il problema sia davvero nella universalità o invece nel suffragio, perché finché si continuerà a votare qualcuno nell'illusione che possa davvero rappresentare gli interessi dei comuni cittadini e cittadine, non sarà un escludente attestato di studio assegnato o meno ai votanti a rendere migliori le cose: visto che a decidere le candidature dei parlamentari in lizza continuerebbero a essere i partiti, l'Aristocrazia Elettorale che decide al posto nostro resterebbe la stessa e continuerebbe a fare gli interessi propri e di chi la finanzia. Al massimo renderebbe più probabile l'elezione degli amici di Ercolani.
Noi preferiamo la democrazia. Quella vera, non quella dei saggisti al servizio del potere.

sabato 5 ottobre 2019

La democrazia del porcino

Provate a immaginare: duecento anni fa un furbo (e disonesto) commerciante per guadagnare di più decide di vendere funghi non esattamente commestibili perché gli costano meno dei porcini. Immaginate poi che il brav'uomo, sapendo che la scritta "Funghi non commestibili" gli avrebbe procurato pochi clienti, abbia deciso di scriverci sopra invece "Porcini", e che da due secoli tutti noi stiamo mangiando quei funghi dovendo correre subito dopo in bagno o comunque sopportare fastidiosi mal di pancia.
Ecco, con la democrazia è successo proprio questo: all'indomani delle rivoluzioni americana e francese che avevano messo fuori causa l'ingorda aristocrazia parassita, la borghesia affaristica e i notabili pensarono che avrebbero "guadagnato di più" mettendo in piedi un sistema di governo basato su rappresentanti (scelti tra le proprie file), evitando di lasciare il potere appena conquistato nelle mani del popolo che avrebbe altrimenti potuto autogovernarsi con una forma di governo democratica. Però confessare che a un'aristocrazia di sangue sarebbe subentrata un'aristocrazia elettiva e che i sudditi sarebbero rimasti tali rischiava di far nascere nuovi malcontenti, così cominciarono a dire che il nuovo sistema era una democrazia, e che erano i cittadini - tramite i rappresentanti "liberamente" scelti - a governare. E ce lo raccontano da duecento anni.
Se volete crederci padroni di farlo, ma non lamentatevi se a ogni nuova elezione e nuovo governo vi viene, ancora e ancora, il mal di pancia: finché continuerete a mangiare funghi non commestibili è inevitabile. Potete inventarvi tutte le ricette che volete, per cucinarli, ma il risultato sarà sempre lo stesso, finché non deciderete di lasciare sul bancone di quel furbo commerciante i finti porcini che continua a proporvi e andare a cercarne di reali. Esistono.
Una vera democrazia è possibile.




giovedì 5 settembre 2019

I guitti al potere



Scrive il giornalista Matteo Pucciarelli su Facebook:

"Qual è il prezzo?
Premessa: Salvini non è più ministro ed è una splendida notizia. Fine della premessa.
Ma alla fine di questa poco edificante vicenda politica estiva, mi domando solo quale sarà il prezzo da pagare in termini di credibilità della politica - o forse dovrei dire della democrazia.
Salvini, un uomo patetico e pericoloso oggi abbiamo compreso anche per sé stesso, ormai riesce a dire due o tre cose opposte nell’arco di una sola frase, né si preoccupa più di sembrare per questo mentalmente labile; Di Maio e i 5 Stelle sono dei recordman in fatto di promesse ritrattate, impegni disattesi, battaglie abbandonate; il Pd non è da meno e quelli che ieri erano sprezzantemente chiamati «cialtroni» oggi sono diventati alleati di governo.
Fosse una commedia sarebbe anche divertente, tra colpi di scena, tradimenti, inimicizie, amori finiti, altri rinati, colpi bassi, accuse, controaccuse e così via. Solo che non dovrebbe essere uno spettacolo ma qualcosa di molto più serio che riguarda le vite di tutti. 
Sono finite le ideologie, sì, abbiamo capito. Ma allora cosa rimane? Lo show senza esclusione di colpi? Sempre più elettrico, che ti tiene incollato allo schermo, un clic per mettere un cuore a un tweet o per votare un accordo di governo, quando poi invece questa specie di serie di Netflix ti lascia vuoto, solo, perché non puoi più davvero fidarti di lei, cioè della politica?
Se tutti sappiamo che i partecipanti allo spettacolo possono raccontarti tutto e il contrario di tutto a seconda della convenienza del momento, della politica cosa ne sarà?
Il prezzo - io credo - sarà un dibattito sempre più inquinato, ancora più di oggi, dal fetore asfissiante di propagande contrapposte. Tifosi sfegatati contro tifosi sfegatati, irrazionali e puerili. Allo stesso tempo sempre più persone invece cambieranno canale, sfiduciate, pensando che la-politica-fa-schifo. O che non è cosa per loro. La politica sequestrata, in mano a pochi abili guitti; la politica privatizzata, dove trovano spazio solo ultras e signorsì. (...)  Ci resta il sarcasmo, lo sfottò, per prendere le distanze da questa politica. Ma poi anche quello ti lascia impotente e insoddisfatto. 
Il prezzo da pagare - io temo - sarà altra disaffezione, quindi altro disprezzo, quindi ulteriore delegittimazione della politica. Tutti sentimenti che alla lunga portano sempre e comunque acqua al mulino di squali e masnadieri."



Sentimenti e preoccupazioni condivisibili. Però, se Pucciarelli non vede un'alternativa a tutto questo, è solo colpa della sua pigrizia nell'informarsi, perché se leggesse almeno "Contro le elezioni" di David Van Reybrouck (Feltrinelli) scoprirebbe che il problema è (quasi) tutto in quella parolina che ha usato all'inizio del suo articolo: Democrazia. Finché non capirà che l'inganno sta tutto lì, e che l'attuale sistema di governo è una Oligarchia (o Aristocrazia Elettorale come la chiamava Rousseau... toh, proprio proprio il nome della piattaforma dei Cinque Stelle!), continuerà a macerarsi tra i dubbi e lo sconforto.


Noi sappiamo che una via d'uscita c'è: una reale democrazia. Difficile riuscire ad approdarvi? Addirittura impossibile? Forse, ma anche solo sapere che la possibilità esiste ci rasserena. E ci fa perdere ogni interesse per le beghe da cortile di una politica che di democratico ha solo un'etichetta posticcia.  




domenica 11 agosto 2019

I pieni poteri


Matteo Salvini, vicepresidente del Consiglio dell'attuale governo italiano, ha tolto la fiducia a quest'ultimo vagheggiando un ritorno alle urne con la richiesta agli elettori di dargli "pieni poteri". Naturalmente sono subito partiti gli allarmi per il pericolo che questa formula possa condurre a una nuova dittatura di stampo mussoliniano quale esito "non democratico" dell'invece democraticissimo attuale sistema di governo.
Non è così: l'esito totalitario è nella natura del sistema basato su partiti ed elezioni. Ne è l'approdo intrinseco e normale, e se - come ripetiamo da tempo - chiamassimo le cose col loro nome (e dunque oligarchia l'attuale forma di governo) tutto ci apparirebbe più chiaro.
Citiamo da "Democrazia davvero":

Da qualunque punto di vista si vogliano analizzate i partiti politici, quella che però non è mai cambiata nel tempo è la loro natura intrinseca. A questo proposito Yves Sintomer ne “Il potere al popolo” afferma che “sin dall’origine i partiti nascondevano un lato oscuro. Con loro emersero delle strutture burocratiche centralizzate e autoritarie, degli apparati capaci di concentrare nelle loro mani il massimo del potere a scapito della base, in sostanza un qualcosa di completamente diverso rispetto alla promessa di democratizzazione che sembravano incarnare.” 
Da dove veniva quel “lato oscuro” ce lo spiega Simone Adolphine Weil, filosofa, mistica e scrittrice francese nota, oltre che per i suoi scritti, per le drammatiche vicende esistenziali che la portarono ad abbandonare l’insegnamento per sperimentare la condizione operaia e a impegnarsi come attivista partigiana nonostante la salute malferma. Vicina al pensiero anarchico e all’eterodossia marxista, conobbe Trotsky oltre che importanti personaggi della cultura francese dell’epoca. In “Appunti sulla soppressione dei partiti politici” pubblicato per la prima volta nel numero 26 del 1950 della rivista francese La Table Ronde, Weil analizza e disseziona con stupefacente lucidità quell’efficace (per il sistema oligarchico) strumento che è il partito politico individuandone due caratteristiche principali: il totalitarismo e la derivazione religiosa. 
In merito al primo punto, ella spiega come nel pensiero politico francese del 1789 non rientrasse l’idea di partito, “se non come quella di un male da evitare”. Finché il club dei giacobini, da luogo di libera discussione, per la pressione della guerra e della ghigliottina non si trasformò in un partito totalitario. La concezione politica alla base di divisioni e lotte tra le varie fazioni durante il periodo del Terrore è secondo Weil ben rappresentata nella frase del sindacalista e rivoluzionario russo Michail Pavlovič Tomskij: “Un partito al potere e tutti gli altri in prigione”. 
“Così”, commenta Weil “sul continente europeo, il totalitarismo è il peccato originale dei partiti.” E prosegue elencando le tre caratteristiche essenziali dei partiti: 
“1) un partito politico è una macchina per fabbricare passione collettiva; 
2) un partito politico è un’organizzazione costruita in modo da esercitare una pressione collettiva sul pensiero di ognuno degli esseri umani che ne fanno parte; 
3) il fine primo e, in ultima analisi, l’unico fine di qualunque partito politico è la propria crescita, e questo senza alcun limite. 
Per via di questa (...) caratteristica, ogni partito è totalitario in nuce e nelle aspirazioni. Se non lo è nei fatti, questo accade solo perché quelli che lo circondano non lo sono di meno.” 
Alla luce di questa difficilmente confutabile lettura, il fascismo e il nazismo non ci appaiono più come una degenerazione della politica “democratica”, ma soltanto come il risultato della capacità di Benito Mussolini e Adolf Hitler di portare i propri partiti a prevalere tomskijanamente su quelli che li circondavano. Duce e führer non erano due mostri finiti per caso nell’agone politico, ma il frutto diretto e d’eccellenza della natura dei partiti.

Per fortuna, e torniamo alla cronaca politica, oggi ai partiti ideologici si sono sostituite le segreterie di partito (che non hanno più interesse - né la capacità - di "esercitare una pressione collettiva sul pensiero di ognuno degli esseri umani che ne fanno parte" plagiandoli come religioni laiche) o addirittura ristrette cricche riunite intorno a un leader che, senza più bisogno di stuoli di militanti "sul territorio", si limitano a inseguire poltrone che garantiscano loro compensi dorati e vicinanza ad ambienti corruttivi per arricchirsi ulteriormente; per farlo non creano nuove ideologie destinate a durare, ma si limitano a cavalcare l'insoddisfazione esistente offrendosi di volta in volta come "solutori" di crisi di cui sono concausa, quanto basta per ottenere il voto di una massa che ormai non sa più dove sbattere la testa ed è pronta ogni volta a votare quello che appare come "nuovo" e "diverso". Il Matteo di turno dura qualche anno, il tempo di mostrare che non è in grado di cambiare niente, poi - in quella che Bernard Manin chiama "politica dello spettacolo" e noi "politica del supermercato" - è destinato a essere sostituito sotto i riflettori e/o sugli scaffali da un altro prodotto meglio confezionato.
Quello che è certo è che industria e finanza, negli anni Venti terrorizzate dallo spettro della rivoluzione sovietica, oggi governano senza limiti né ostacoli il mercato globalizzato e non hanno dunque bisogno di tiranni locali a fare da argine ai "rossi", ma al massimo di governi-maggiordomo obbedienti e servizievoli. E quando qualche leader dimostra troppa indipendenza, foss'anche solo per egocentrismo narcisista, si limitano a fargli terra bruciata intorno sostituendolo col governo tecnico di turno (vedi Berlusconi-Monti).
Così succederà ancora, e ancora, e ancora. Finché non elimineremo questo sistema sedicente democratico a favore di una reale democrazia.



giovedì 1 agosto 2019

Chiamare le cose col loro nome


In un lungo articolo su Micromega, parlando del PD (che considera partito di destra che si spaccia per organizzazione di centro-sinistra) Paolo Flores d'Arcais sostiene la necessità di "chiamare le cose con il loro nome", affermando che questa non sarebbe "operazione secondaria", ma anzi "essenziale componente dell'azione, della praxis".

Noi abbiamo grande simpatia per il direttore di Micromega. E' stato forse uno tra i primi, in Italia, a invocare l'adozione del sorteggio in politica, sia pure limitatamente ai seggi corrispondenti alla percentuale dei non votanti (ne parliamo ampiamente nel nostro saggio).

Ci piacerebbe perciò che lasciasse perdere le analisi del sangue degli attuali partiti politici: Bernard Manin l'ha già spiegato che ormai siamo alla "politica dello spettacolo" e nessun partito fa più riferimento a ideologie, se non strumentalmente per raccogliere più voti in funzione di quello che è ormai l'unico scopo dell'Aristocrazia Elettiva, cioè perpetuare la propria occupazione degli spazi di potere (abbastanza risibile anch'esso, nei fatti) per garantirsi lauti compensi e facile accesso a occasioni di corruzione che l'arricchiscano ulteriormente. Per il resto, Destra e Sinistra sono ormai concetti vetusti che significano ben poco. Meglio dunque occuparsi della natura del sistema, cominciando con quello di governo e lavorando per il passaggio a una reale democrazia nella quale siano cittadine e cittadini, in prima persona, a prendere le decisioni per la guida del proprio Paese.

Invitiamo perciò Flores d'Arcais ad applicare a questo tema, a nostro parere ben più significativo e veramente "rivoluzionario", la sua grande intelligenza. Sarebbe un peccato continuare a sprecarla stando dietro alle pseudocollocazioni ideologiche dei sedicenti partiti.



martedì 16 luglio 2019

Quant'è brutto il popolo!


Vorremmo fare a meno di scrivere considerazioni sulle periodiche riflessioni di Corrado Augias, ma  - come si dice - "ce le toglie dalle mani".

Ancora una volta, in uno dei suoi consigli di lettura, il giornalista e scrittore torna sull'argomento della democrazia. Naturalmente, quella che lui e i suoi datori di lavoro considerano tale, cioè il sistema oligarchico basato su partiti ed elezioni gestito da quella che Rousseau chiamava l'Aristocrazia Elettiva.

Augias non si dà pace del fatto che - citiamo - "il popolo sovrano voluto dai rivoluzionari americani e francesi nel nome della ragione" si sia rivelato "un popolo incolto, incompetente e povero, dagli umori imprevedibili e brutali." E si domanda, preoccupatissimo, se il sistema - che oggi gli appare "barcollante" - si dimostrerà capace di "digerire elementi incompatibili".

Gli "elementi incompatibili", è ovvio, sono gli avversari politici del Partito Democratico di cui il suo datore di lavoro possiede la tessera n.1: i pericolosissimi "populisti" che, invece di affidarsi ai colti e preparati esponenti della sinistra (benché annacquata) benpensante, conquistano il seguito degli elettori e relativi posti di potere vellicando i peggiori istinti del "popolo incolto, incompetente e povero".



Ovviamente, che il popolo non sia MAI stato "sovrano" all'esimio giornalista non passa neanche per l'anticamera del cervello. Così come il fatto che il sistema scaturito dalle rivoluzioni americana e francese "nel nome della ragione" sia stato scelto dalla borghesia - uscita vincente dallo scontro con regnanti e nobili - non per intenti sinceramente democratici, ma anzi CONTRO ogni possibile ipotesi di governo democratico affidato al popolo, giacché era ben decisa a tenersi stretto il potere appena conquistato. Come continua a fare tuttora, appoggiandosi di volta in volta ai "rappresentanti" (di sé stessi e degli interessi dei reali governanti) che si dimostrano più utili secondo il momento storico. Fascisti e nazisti per opporsi alla montante rivolta proletaria nella prima metà del secolo scorso; governi più o meno socialdemocratici per reggere quanto basta il confronto con la propaganda sovietica; governi ultraliberisti ora che il pericolo comunista è svanito dall'orizzonte.


L'attuale confusione politica dipende solo da questo: attualmente economia e finanza non hanno più bisogno di governi "credibili" dietro cui celarsi. Ormai governano direttamente, e con le istituzione europee in mano a un pugno di nominati capaci di piegare con le leve economiche gli pseudogoverni più riottosi (vedi Grecia), si disinteressano quasi totalmente del giochino elettorale. Ecco perché gli augias si ritrovano frastornati e vivono questo senso di abbandono: sentono di essere ormai diventati inutili, come cagnolini che continuano a scodinzolare a un padrone che non ha più interesse nemmeno a nutrirli.


Quanto al popolo, per quanto brutto e ignorante sia, anche lui sente di essere stato completamente abbandonato alle tempeste della speculazione e delle migrazioni selvagge causate dalle dissennate politiche dell'ingordigia economica e finanziaria. E reagisce nell'unico, quanto inefficace e controproducente, modo che gli resta: con una rabbiosa guerra tra poveri che i politici si affrettano a sfruttare, in un verso e nell'altro, per guadagnarsi-mantenersi una fetta del potere, sì svuotato di sostanza, ma comunque ancora lucroso.

Solo quando il tanto vituperato popolo riuscirà a prendersi il potere che gli spetta attuando una REALE democrazia, tutto questo potrà forse cambiare. Fino a quel momento, rassegniamoci ai piagnistei di Augias e alle momentanee ascese dei governanti riusciti a salire sull'onda giusta. Che, nell'epoca della "politica dello spettacolo" (Bernard Manin), è destinata a infrangersi sempre più rapidamente sugli scogli dell'insoddisfazione popolare.



Referendum... meglio che niente!

Fra qualche giorno si terranno le votazioni per cinque quesiti referendari. Nel sistema prettamente oligarchico gestito dalle Aristocrazie E...