mercoledì 6 novembre 2019

Quando la libertà dei cittadini fa paura


In un articolo di Ippolita Luzzo sulla rivista online Pangea, Paolo Ercolani (autore del saggio "Figli di un io minore") sostiene che il suffragio universale è "un lusso che non ci possiamo più permettere." E propone di togliere il diritto di voto a chi non ha un sufficiente "grado di conoscenza e consapevolezza rispetto ai rudimenti dell’educazione civica, della teoria politica, del diritto costituzionale e della storia patria".
Come si vede, è solo l'ennesimo tentativo di aggiustare (in senso elitario) il "governo dei migliori" che da sempre sta teoricamente alla base del sistema politico basato su "rappresentanti".
Invece di dar la colpa alla parte meno "preparata" del popolo, il signor Ercolani dovrebbe forse fare uno sforzo di fantasia (o almeno leggere un libro come "Contro le elezioni" di David Van Reybrouck) e valutare se il problema sia davvero nella universalità o invece nel suffragio, perché finché si continuerà a votare qualcuno nell'illusione che possa davvero rappresentare gli interessi dei comuni cittadini e cittadine, non sarà un escludente attestato di studio assegnato o meno ai votanti a rendere migliori le cose: visto che a decidere le candidature dei parlamentari in lizza continuerebbero a essere i partiti, l'Aristocrazia Elettorale che decide al posto nostro resterebbe la stessa e continuerebbe a fare gli interessi propri e di chi la finanzia. Al massimo renderebbe più probabile l'elezione degli amici di Ercolani.
Noi preferiamo la democrazia. Quella vera, non quella dei saggisti al servizio del potere.

sabato 5 ottobre 2019

La democrazia del porcino

Provate a immaginare: duecento anni fa un furbo (e disonesto) commerciante per guadagnare di più decide di vendere funghi non esattamente commestibili perché gli costano meno dei porcini. Immaginate poi che il brav'uomo, sapendo che la scritta "Funghi non commestibili" gli avrebbe procurato pochi clienti, abbia deciso di scriverci sopra invece "Porcini", e che da due secoli tutti noi stiamo mangiando quei funghi dovendo correre subito dopo in bagno o comunque sopportare fastidiosi mal di pancia.
Ecco, con la democrazia è successo proprio questo: all'indomani delle rivoluzioni americana e francese che avevano messo fuori causa l'ingorda aristocrazia parassita, la borghesia affaristica e i notabili pensarono che avrebbero "guadagnato di più" mettendo in piedi un sistema di governo basato su rappresentanti (scelti tra le proprie file), evitando di lasciare il potere appena conquistato nelle mani del popolo che avrebbe altrimenti potuto autogovernarsi con una forma di governo democratica. Però confessare che a un'aristocrazia di sangue sarebbe subentrata un'aristocrazia elettiva e che i sudditi sarebbero rimasti tali rischiava di far nascere nuovi malcontenti, così cominciarono a dire che il nuovo sistema era una democrazia, e che erano i cittadini - tramite i rappresentanti "liberamente" scelti - a governare. E ce lo raccontano da duecento anni.
Se volete crederci padroni di farlo, ma non lamentatevi se a ogni nuova elezione e nuovo governo vi viene, ancora e ancora, il mal di pancia: finché continuerete a mangiare funghi non commestibili è inevitabile. Potete inventarvi tutte le ricette che volete, per cucinarli, ma il risultato sarà sempre lo stesso, finché non deciderete di lasciare sul bancone di quel furbo commerciante i finti porcini che continua a proporvi e andare a cercarne di reali. Esistono.
Una vera democrazia è possibile.




giovedì 5 settembre 2019

I guitti al potere



Scrive il giornalista Matteo Pucciarelli su Facebook:

"Qual è il prezzo?
Premessa: Salvini non è più ministro ed è una splendida notizia. Fine della premessa.
Ma alla fine di questa poco edificante vicenda politica estiva, mi domando solo quale sarà il prezzo da pagare in termini di credibilità della politica - o forse dovrei dire della democrazia.
Salvini, un uomo patetico e pericoloso oggi abbiamo compreso anche per sé stesso, ormai riesce a dire due o tre cose opposte nell’arco di una sola frase, né si preoccupa più di sembrare per questo mentalmente labile; Di Maio e i 5 Stelle sono dei recordman in fatto di promesse ritrattate, impegni disattesi, battaglie abbandonate; il Pd non è da meno e quelli che ieri erano sprezzantemente chiamati «cialtroni» oggi sono diventati alleati di governo.
Fosse una commedia sarebbe anche divertente, tra colpi di scena, tradimenti, inimicizie, amori finiti, altri rinati, colpi bassi, accuse, controaccuse e così via. Solo che non dovrebbe essere uno spettacolo ma qualcosa di molto più serio che riguarda le vite di tutti. 
Sono finite le ideologie, sì, abbiamo capito. Ma allora cosa rimane? Lo show senza esclusione di colpi? Sempre più elettrico, che ti tiene incollato allo schermo, un clic per mettere un cuore a un tweet o per votare un accordo di governo, quando poi invece questa specie di serie di Netflix ti lascia vuoto, solo, perché non puoi più davvero fidarti di lei, cioè della politica?
Se tutti sappiamo che i partecipanti allo spettacolo possono raccontarti tutto e il contrario di tutto a seconda della convenienza del momento, della politica cosa ne sarà?
Il prezzo - io credo - sarà un dibattito sempre più inquinato, ancora più di oggi, dal fetore asfissiante di propagande contrapposte. Tifosi sfegatati contro tifosi sfegatati, irrazionali e puerili. Allo stesso tempo sempre più persone invece cambieranno canale, sfiduciate, pensando che la-politica-fa-schifo. O che non è cosa per loro. La politica sequestrata, in mano a pochi abili guitti; la politica privatizzata, dove trovano spazio solo ultras e signorsì. (...)  Ci resta il sarcasmo, lo sfottò, per prendere le distanze da questa politica. Ma poi anche quello ti lascia impotente e insoddisfatto. 
Il prezzo da pagare - io temo - sarà altra disaffezione, quindi altro disprezzo, quindi ulteriore delegittimazione della politica. Tutti sentimenti che alla lunga portano sempre e comunque acqua al mulino di squali e masnadieri."



Sentimenti e preoccupazioni condivisibili. Però, se Pucciarelli non vede un'alternativa a tutto questo, è solo colpa della sua pigrizia nell'informarsi, perché se leggesse almeno "Contro le elezioni" di David Van Reybrouck (Feltrinelli) scoprirebbe che il problema è (quasi) tutto in quella parolina che ha usato all'inizio del suo articolo: Democrazia. Finché non capirà che l'inganno sta tutto lì, e che l'attuale sistema di governo è una Oligarchia (o Aristocrazia Elettorale come la chiamava Rousseau... toh, proprio proprio il nome della piattaforma dei Cinque Stelle!), continuerà a macerarsi tra i dubbi e lo sconforto.


Noi sappiamo che una via d'uscita c'è: una reale democrazia. Difficile riuscire ad approdarvi? Addirittura impossibile? Forse, ma anche solo sapere che la possibilità esiste ci rasserena. E ci fa perdere ogni interesse per le beghe da cortile di una politica che di democratico ha solo un'etichetta posticcia.  




domenica 11 agosto 2019

I pieni poteri


Matteo Salvini, vicepresidente del Consiglio dell'attuale governo italiano, ha tolto la fiducia a quest'ultimo vagheggiando un ritorno alle urne con la richiesta agli elettori di dargli "pieni poteri". Naturalmente sono subito partiti gli allarmi per il pericolo che questa formula possa condurre a una nuova dittatura di stampo mussoliniano quale esito "non democratico" dell'invece democraticissimo attuale sistema di governo.
Non è così: l'esito totalitario è nella natura del sistema basato su partiti ed elezioni. Ne è l'approdo intrinseco e normale, e se - come ripetiamo da tempo - chiamassimo le cose col loro nome (e dunque oligarchia l'attuale forma di governo) tutto ci apparirebbe più chiaro.
Citiamo da "Democrazia davvero":

Da qualunque punto di vista si vogliano analizzate i partiti politici, quella che però non è mai cambiata nel tempo è la loro natura intrinseca. A questo proposito Yves Sintomer ne “Il potere al popolo” afferma che “sin dall’origine i partiti nascondevano un lato oscuro. Con loro emersero delle strutture burocratiche centralizzate e autoritarie, degli apparati capaci di concentrare nelle loro mani il massimo del potere a scapito della base, in sostanza un qualcosa di completamente diverso rispetto alla promessa di democratizzazione che sembravano incarnare.” 
Da dove veniva quel “lato oscuro” ce lo spiega Simone Adolphine Weil, filosofa, mistica e scrittrice francese nota, oltre che per i suoi scritti, per le drammatiche vicende esistenziali che la portarono ad abbandonare l’insegnamento per sperimentare la condizione operaia e a impegnarsi come attivista partigiana nonostante la salute malferma. Vicina al pensiero anarchico e all’eterodossia marxista, conobbe Trotsky oltre che importanti personaggi della cultura francese dell’epoca. In “Appunti sulla soppressione dei partiti politici” pubblicato per la prima volta nel numero 26 del 1950 della rivista francese La Table Ronde, Weil analizza e disseziona con stupefacente lucidità quell’efficace (per il sistema oligarchico) strumento che è il partito politico individuandone due caratteristiche principali: il totalitarismo e la derivazione religiosa. 
In merito al primo punto, ella spiega come nel pensiero politico francese del 1789 non rientrasse l’idea di partito, “se non come quella di un male da evitare”. Finché il club dei giacobini, da luogo di libera discussione, per la pressione della guerra e della ghigliottina non si trasformò in un partito totalitario. La concezione politica alla base di divisioni e lotte tra le varie fazioni durante il periodo del Terrore è secondo Weil ben rappresentata nella frase del sindacalista e rivoluzionario russo Michail Pavlovič Tomskij: “Un partito al potere e tutti gli altri in prigione”. 
“Così”, commenta Weil “sul continente europeo, il totalitarismo è il peccato originale dei partiti.” E prosegue elencando le tre caratteristiche essenziali dei partiti: 
“1) un partito politico è una macchina per fabbricare passione collettiva; 
2) un partito politico è un’organizzazione costruita in modo da esercitare una pressione collettiva sul pensiero di ognuno degli esseri umani che ne fanno parte; 
3) il fine primo e, in ultima analisi, l’unico fine di qualunque partito politico è la propria crescita, e questo senza alcun limite. 
Per via di questa (...) caratteristica, ogni partito è totalitario in nuce e nelle aspirazioni. Se non lo è nei fatti, questo accade solo perché quelli che lo circondano non lo sono di meno.” 
Alla luce di questa difficilmente confutabile lettura, il fascismo e il nazismo non ci appaiono più come una degenerazione della politica “democratica”, ma soltanto come il risultato della capacità di Benito Mussolini e Adolf Hitler di portare i propri partiti a prevalere tomskijanamente su quelli che li circondavano. Duce e führer non erano due mostri finiti per caso nell’agone politico, ma il frutto diretto e d’eccellenza della natura dei partiti.

Per fortuna, e torniamo alla cronaca politica, oggi ai partiti ideologici si sono sostituite le segreterie di partito (che non hanno più interesse - né la capacità - di "esercitare una pressione collettiva sul pensiero di ognuno degli esseri umani che ne fanno parte" plagiandoli come religioni laiche) o addirittura ristrette cricche riunite intorno a un leader che, senza più bisogno di stuoli di militanti "sul territorio", si limitano a inseguire poltrone che garantiscano loro compensi dorati e vicinanza ad ambienti corruttivi per arricchirsi ulteriormente; per farlo non creano nuove ideologie destinate a durare, ma si limitano a cavalcare l'insoddisfazione esistente offrendosi di volta in volta come "solutori" di crisi di cui sono concausa, quanto basta per ottenere il voto di una massa che ormai non sa più dove sbattere la testa ed è pronta ogni volta a votare quello che appare come "nuovo" e "diverso". Il Matteo di turno dura qualche anno, il tempo di mostrare che non è in grado di cambiare niente, poi - in quella che Bernard Manin chiama "politica dello spettacolo" e noi "politica del supermercato" - è destinato a essere sostituito sotto i riflettori e/o sugli scaffali da un altro prodotto meglio confezionato.
Quello che è certo è che industria e finanza, negli anni Venti terrorizzate dallo spettro della rivoluzione sovietica, oggi governano senza limiti né ostacoli il mercato globalizzato e non hanno dunque bisogno di tiranni locali a fare da argine ai "rossi", ma al massimo di governi-maggiordomo obbedienti e servizievoli. E quando qualche leader dimostra troppa indipendenza, foss'anche solo per egocentrismo narcisista, si limitano a fargli terra bruciata intorno sostituendolo col governo tecnico di turno (vedi Berlusconi-Monti).
Così succederà ancora, e ancora, e ancora. Finché non elimineremo questo sistema sedicente democratico a favore di una reale democrazia.



giovedì 1 agosto 2019

Chiamare le cose col loro nome


In un lungo articolo su Micromega, parlando del PD (che considera partito di destra che si spaccia per organizzazione di centro-sinistra) Paolo Flores d'Arcais sostiene la necessità di "chiamare le cose con il loro nome", affermando che questa non sarebbe "operazione secondaria", ma anzi "essenziale componente dell'azione, della praxis".

Noi abbiamo grande simpatia per il direttore di Micromega. E' stato forse uno tra i primi, in Italia, a invocare l'adozione del sorteggio in politica, sia pure limitatamente ai seggi corrispondenti alla percentuale dei non votanti (ne parliamo ampiamente nel nostro saggio).

Ci piacerebbe perciò che lasciasse perdere le analisi del sangue degli attuali partiti politici: Bernard Manin l'ha già spiegato che ormai siamo alla "politica dello spettacolo" e nessun partito fa più riferimento a ideologie, se non strumentalmente per raccogliere più voti in funzione di quello che è ormai l'unico scopo dell'Aristocrazia Elettiva, cioè perpetuare la propria occupazione degli spazi di potere (abbastanza risibile anch'esso, nei fatti) per garantirsi lauti compensi e facile accesso a occasioni di corruzione che l'arricchiscano ulteriormente. Per il resto, Destra e Sinistra sono ormai concetti vetusti che significano ben poco. Meglio dunque occuparsi della natura del sistema, cominciando con quello di governo e lavorando per il passaggio a una reale democrazia nella quale siano cittadine e cittadini, in prima persona, a prendere le decisioni per la guida del proprio Paese.

Invitiamo perciò Flores d'Arcais ad applicare a questo tema, a nostro parere ben più significativo e veramente "rivoluzionario", la sua grande intelligenza. Sarebbe un peccato continuare a sprecarla stando dietro alle pseudocollocazioni ideologiche dei sedicenti partiti.



martedì 16 luglio 2019

Quant'è brutto il popolo!


Vorremmo fare a meno di scrivere considerazioni sulle periodiche riflessioni di Corrado Augias, ma  - come si dice - "ce le toglie dalle mani".

Ancora una volta, in uno dei suoi consigli di lettura, il giornalista e scrittore torna sull'argomento della democrazia. Naturalmente, quella che lui e i suoi datori di lavoro considerano tale, cioè il sistema oligarchico basato su partiti ed elezioni gestito da quella che Rousseau chiamava l'Aristocrazia Elettiva.

Augias non si dà pace del fatto che - citiamo - "il popolo sovrano voluto dai rivoluzionari americani e francesi nel nome della ragione" si sia rivelato "un popolo incolto, incompetente e povero, dagli umori imprevedibili e brutali." E si domanda, preoccupatissimo, se il sistema - che oggi gli appare "barcollante" - si dimostrerà capace di "digerire elementi incompatibili".

Gli "elementi incompatibili", è ovvio, sono gli avversari politici del Partito Democratico di cui il suo datore di lavoro possiede la tessera n.1: i pericolosissimi "populisti" che, invece di affidarsi ai colti e preparati esponenti della sinistra (benché annacquata) benpensante, conquistano il seguito degli elettori e relativi posti di potere vellicando i peggiori istinti del "popolo incolto, incompetente e povero".



Ovviamente, che il popolo non sia MAI stato "sovrano" all'esimio giornalista non passa neanche per l'anticamera del cervello. Così come il fatto che il sistema scaturito dalle rivoluzioni americana e francese "nel nome della ragione" sia stato scelto dalla borghesia - uscita vincente dallo scontro con regnanti e nobili - non per intenti sinceramente democratici, ma anzi CONTRO ogni possibile ipotesi di governo democratico affidato al popolo, giacché era ben decisa a tenersi stretto il potere appena conquistato. Come continua a fare tuttora, appoggiandosi di volta in volta ai "rappresentanti" (di sé stessi e degli interessi dei reali governanti) che si dimostrano più utili secondo il momento storico. Fascisti e nazisti per opporsi alla montante rivolta proletaria nella prima metà del secolo scorso; governi più o meno socialdemocratici per reggere quanto basta il confronto con la propaganda sovietica; governi ultraliberisti ora che il pericolo comunista è svanito dall'orizzonte.


L'attuale confusione politica dipende solo da questo: attualmente economia e finanza non hanno più bisogno di governi "credibili" dietro cui celarsi. Ormai governano direttamente, e con le istituzione europee in mano a un pugno di nominati capaci di piegare con le leve economiche gli pseudogoverni più riottosi (vedi Grecia), si disinteressano quasi totalmente del giochino elettorale. Ecco perché gli augias si ritrovano frastornati e vivono questo senso di abbandono: sentono di essere ormai diventati inutili, come cagnolini che continuano a scodinzolare a un padrone che non ha più interesse nemmeno a nutrirli.


Quanto al popolo, per quanto brutto e ignorante sia, anche lui sente di essere stato completamente abbandonato alle tempeste della speculazione e delle migrazioni selvagge causate dalle dissennate politiche dell'ingordigia economica e finanziaria. E reagisce nell'unico, quanto inefficace e controproducente, modo che gli resta: con una rabbiosa guerra tra poveri che i politici si affrettano a sfruttare, in un verso e nell'altro, per guadagnarsi-mantenersi una fetta del potere, sì svuotato di sostanza, ma comunque ancora lucroso.

Solo quando il tanto vituperato popolo riuscirà a prendersi il potere che gli spetta attuando una REALE democrazia, tutto questo potrà forse cambiare. Fino a quel momento, rassegniamoci ai piagnistei di Augias e alle momentanee ascese dei governanti riusciti a salire sull'onda giusta. Che, nell'epoca della "politica dello spettacolo" (Bernard Manin), è destinata a infrangersi sempre più rapidamente sugli scogli dell'insoddisfazione popolare.



mercoledì 12 giugno 2019

Il santino Berlinguer



In occasione del 35esimo anniversario della scomparsa di Enrico Berlinguer, Marco Travaglio ne approfitta per sbeffeggiare (giustamente) su il Fatto Quotidiano il segretario piddino Zingaretti che, a proposito della notissima intervista dello scomparso sulla "questione morale", prova a predicare bene mentre il suo partito continua a razzolare malissimo.
Richiamando il testo esatto dell'intervista, Travaglio ricorda che secondo Berlinguer i partiti non facevano più politica, ma erano ormai "macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune… Non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un ‘boss’ e dei ‘sotto-boss’”, e "hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal governo, (...) gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai Tv, alcuni grandi giornali.".


Travaglio puntualizza che il segretario del defunto PCI si riferiva alla Dc e al Psi. Sia lui che Berlinguer dimenticano che in realtà anche il PCI, dove poteva (nelle regioni rosse in primis), stava facendo la stessa cosa: chi c'era sa benissimo che in città e province governate dal Partito Comunista, se avevi la tessera in tasca un posto di lavoro in qualche azienda di trasporto o organizzazione di portuali lo trovavi più facilmente. Ma non ci interessa dire che ad accomunare tutti i partiti, PCI incluso, fossero corruzione e intrallazzi: sulla natura nefasta, "religiosa" e intrinsecamente totalitaria dei partiti ha già detto tutto quello che c'era da dire Simone Weil (nel nostro saggio ne diamo ampiamente conto), e questa non cambia quale che sia l'evoluzione che essi subiscono nelle differenti epoche, situazioni geopolitiche e sociali. Che diventino dittature o comitati d'affari  (difficile dire cosa sia peggio), una cosa è certa: in quanto strutture gerarchicamente verticistiche, non hanno MAI avuto intenti o tantomeno esiti democratici, ma sempre e soltanto lo scopo di affidare alle segreterie la gestione del potere, maggiore o minore, di volta in volta conquistato.

Ci perdonino perciò coloro che, nello squallore dell'attuale "politica del pubblico" o "dello spettacolo", come la definisce Bernard Manin, tendono a verniciare di santità passate figure di segretari-oligarchi di partito come Berlinguer. Noi preferiamo continuare a perseguire l'obiettivo del passaggio a una reale democrazia, dove cittadine e cittadini prendano a turno in prima persona le decisioni sulla propria vita, spazzando via una volta per tutte partiti e politici di professione, più o meno corrotti, più o meno "santi". 




lunedì 10 giugno 2019

Una finestra per lavare il cervello


Mai sentito parlare della "Finestra di Overton"? Se ne parla dettagliatamente qui, ma per riassumere possiamo dire che si tratta di uno schema di comunicazione, di persuasione e manipolazione delle masse secondo una serie di passaggi successivi, sei in tutto (li trovate elencati nell'immagine d'apertura) che consentono, con un martellamento costante dell'informazione, di passare da una condizione di rifiuto totale di un'idea, alla sua completa accettazione e relativa legalizzazione. Può valere per l'accettazione del diverso quanto per il rifiuto di esso. E tutto questo, come si spiega nell'articolo, "senza forzature, senza violenza fisica, la violenza, semmai, è subdola, riguarda la mente e le coscienze dell’umanità. Tutto questo trasbordo ideologico inavvertito, può essere attuato perché viviamo in una società che crede ciecamente a tutto ciò che proviene dai media, una società pronta, imbevuta di relativismo etico e che è ormai priva di valori non negoziabili."

Nell'articolo linkato si dice anche che "uno dei trucchi previsti consiste nel cambiare nome a quel concetto, per farlo apparire da subito più bello”, per esempio chiamando "antropofilia" il cannibalismo! Esattamente quello che è successo (come abbiamo spiegato in modo esaustivo nel nostro "Democrazia davvero") con il sistema di governo basato sui "rappresentanti", perciò con tutta evidenza oligarchico ("governo di pochi") e instaurato da una "aristocrazia elettiva", come la chiamava Rousseau, che ne ha imposto l'adozione gridando contro la democrazia, che sarebbe stata perniciosa e inefficace (a dimostrarlo ci sono i testi dei "padri fondatori" delle repubbliche nate dopo le rivoluzioni americana e francese; trovate anche quelli sul nostro saggio). Però dire che il sistema era oligarchico ed elitario avrebbe potuto apparire sgradevole, così prendendo l'etichetta che Alexis de Tocqueville aveva attribuito (solo in piccolissima parte motivatamente) ai nascenti Stati Uniti d'America, l'hanno allargata all'intero sistema repubblicano parlamentare e per due secoli ci hanno fatto il lavaggio del cervello, convincendoci che quel sistema - nato in opposizione a qualsiasi ipotesi di democrazia, vale la pena ripeterlo - era la perfetta personificazione di quest'ultima.

Ora che le voci che smentiscono questa convinzione ormai radicata si stanno moltiplicando (Yves Sintomer, David Van Reybrouck, Luciano Canfora, Jacques Rancière, Massimo Fini...), a che punto siamo, secondo la Finestra di Overton, nel far passare la consapevolezza che il nostro sistema è oligarchico, che al posto di un'aristocrazia basata sulla nobiltà ci stanno imponendo da un paio di secoli quella basata sulle elezioni? Diremmo che siamo all'inizio della seconda fase: l'idea che all'attuale sistema di governo se ne possa sostituire uno basato su sorteggio e temporaneità degli incarichi, dove siano finalmente tutti i cittadini e le cittadine a governare a turno, al momento rientra nelle "idee radicali, vietate con qualche eccezione". Tocca a tutti noi lavorare quotidianamente per diffondere sempre più la nostra convinzione e farla arrivare al terzo passaggio, quello di una cosa "accettabile" che va oltre il divieto e poi ancora spostarla nel territorio delle idee "sensate, razionalmente difendibili". Non è un compito facile, perché la "grande informazione" (giornali e tivù) sono in mano ai burattinai delle aristocrazie elettive. Oggi c'è però la Rete (oltre alla diffusione libraria) che può fare da trasmettitore di pensiero.

Non stanchiamoci dunque mai di portare almeno su internet la nostra idea. Cominciando col condividere questo post.


venerdì 7 giugno 2019

La Sorte dei giudici


Mentre il Consiglio Superiore della Magistratura viene scosso, e non è la prima volta, da accuse di corruzione, vale forse la pena ricordare che da tempo, per evitare "il mercato politico delle vacche" in seno alla magistratura, più d'uno aveva avanzato la proposta di passare a estrarre a sorte i magistrati del CSM, come possiamo leggere in un articolo dell'anno scorso e come già nel 2014 invitava a fare Carlo Nordio.


Nell'articolo linkato, l'ex magistrato dichiara che "c’è un solo modo per attenuare il peso delle correnti e anche quello politico del CSM: estrarre a sorte i giudici che devono far ne parte. E, soprattutto, non far più nominare alcuni membri dal Parlamento. Con un Consiglio Superiore della Magistratura formato da soli giudici si garantisce un’assoluta indipendenza dal poter politico. Oltre, ovviamente, a garantire la separazione dei poteri."
Al giornalista che gli chiede cosa intende per "estrarre a sorte", risponde: "Esattamente quello che ho detto: estrarre a sorte i nomi pescando in un bacino di giudici che hanno avuto almeno quattro promozioni durante la loro carriera. In questo modo è sicuro che qualunque nome verrà estratto farà parte per forza dei migliori della categoria."

Il fatto che non si sia ancora optato per questa soluzione la cui praticità ed efficacia è lampante, dimostra una volta di più quanto i Signori Politici siano attaccati al loro potere di controllo su tutto ciò che li circonda, dalla magistratura alla tivù pubblica. Anche per liberarci di loro "c'è un solo modo": passare a una reale democrazia basata sul sorteggio e una nuova architettura istituzionale, in modo che a prendere le decisioni di governo siano, a turno, tutti i cittadini e le cittadine giacché come ci insegna Jacques Rancière "Il buon governo è il governo di coloro che non desiderano governare".





giovedì 16 maggio 2019

La pseudodemocrazia che piace solo ai ricchi


In un articolo del Corriere della Sera, Mauro Magatti ci informa che secondo una ricerca statunitense, in 27 Paesi di tutto il mondo il 52% degli intervistati non è contento dello stato della democrazia nel proprio Paese. Questa è la media. Nei singoli Paesi le cose sono un po' diversificate: nel Nord Europa sono più soddisfatti (65% in Olanda e Svezia, 56% in Germania), mentre al Sud molto meno (Grecia 16%, Spagna 20%, Italia 29%). E aggiunge: "Ovunque si è peraltro convinti che ben poco cambia al variare di chi vince le elezioni".
L'articolista ne desume che tutto dipende dal grado di efficienza istituzionale. I nordici sono bravi amministratori, i meridionali incapaci e magari pure corrotti. I giornaloni istituzionali non sono nuovi a queste letture un po' razziste dei dati provenienti da ricerche di vario genere. Crediamo che sia possibile, in realtà, dare letture alternative di questi dati... ma prima completiamoli.
Andando avanti, il Corrierone scopre addirittura l'acqua calda: indipendentemente dal Paese e dall'efficienza del suo governo (a dimostrazione che questo non c'entra molto?), i ricchi e i benestanti sono molto più soddisfatti di come vanno le cose rispetto ai poveri e agli emarginati! Chi l'avrebbe mai detto?


Naturalmente (e non ci dimentichiamo che l'opportuno articolo appare sotto elezioni, Europee e amministrative) la soluzione per "rilanciare l'ordine democratico" è tutta nella "capacità delle istituzioni di ottenere risultati in termini di bene comune."

Sapete come la pensiamo sulla sedicente "democrazia" di cui parla l'articolista: si tratta in realtà di un sistema oligarchico gestito da una Aristocrazia Elettiva (come la chiamava Rousseau) che si autoriproduce e perpetua, foraggiata in vari modi dai "soddisfatti" del Sistema. Ma veniamo alla lettura di questa ricerca: i popoli latini sono davvero così "brutti e cattivi" per natura? Se così fosse, il solerte Magatti starebbe sprecando il suo fiato: abbiamo i governanti che ci rappresentano e ci meritiamo, e non c'è speranza che le cose possano cambiare... a meno di non cedere del tutto le leve del governo del Paese a un'Europa (in gran parte ce le hanno già tolte... ma, chissà perché, senza risultati apprezzabili, anzi!) a guida germanica. Non sarà che ingabbiarci in un'Europa puramente economica e legarci a una moneta unica (che, la storia ce lo insegna, unendo Paesi con economie più e meno forti, favorisce sempre le prime) costruita a misura dell'ex marco tedesco ha impoverito ulteriormente le nazioni più deboli? Difficile avere istituzioni "efficienti" in Paesi le cui economie vengono devastate scientificamente.


Ed è anche normale che i Paesi che hanno tratto beneficio dall'Unione, vuoi perché si sono tenuti fuori dall'euro (Regno Unito, paesi scandinavi...), vuoi perché sono quelle che ne traggono programmaticamente i maggiori vantaggi, siano le meno preoccupate per le sorti del sistema di governo. Senza contare che alcuni di questi sono anche tradizionalisti: le citate Olanda e Svezia mantengono ancora, nel terzo millennio, una figura istituzionale medioevale come il Re!
Forse, allora, i cittadini dei Paesi meno soddisfatti non sono dei bruti insensibili alla democrazia, ma semplicemente persone più consapevoli (per averne assaggiato gli effetti sulla propria pelle) di come il meccanismo sia truccato, di come i governanti che pretenderebbero di rappresentarci siano in realtà un ceto sociale "a sé" che fa i propri interessi e quelli di chi li finanzia, mentre la popolazione rimanente non ha nessuna possibilità di intervenire sulle scelte di governo che poi, guarda caso, peseranno solo su di essa.
A costo di suonare come dischi rotti, lo ripetiamo una volta di più: l'unica via d'uscita da questa situazione è una reale democrazia, senza Aristocrazie Elettive né "Uomini della Provvidenza". Il resto sono chiacchiere buone per riempire le pagine del Corriere della Sera




lunedì 22 aprile 2019

Chi ha paura della Rete?


Un sito d'informazione riporta in un articolo il discorso tenuto al TED (Technology Entertainment Design: è una conferenza che si tiene ogni anno a Monterey, California, e da qualche tempo ogni due in altre città del mondo) di Vancouver, Canada, dalla giornalista dell'Observer Carole Cadwalladr (qui sopra nella foto).
La giornalista in quest'occasione ha denunciato i pesanti interventi di Facebook nel Regno Unito in occasione del referendum per l'uscita del Paese dall'Europa. La denuncia è importante: le leggi elettorali e referendarie sono infatti rimaste ferme, e non solo in Gran Bretagna, a prima dell'avvento della Rete, così quello che è proibito fare in comizi, giornali, radio e televisioni, viene fatto in modo praticamente incontrollabile su internet. Non entreremo nel merito dello scoop della Cadwalladr: potete leggere i dettagli nell'articolo linkato. Riteniamo però di dover chiosare alcune delle sue conclusioni.
Se siamo d'accordo con la giornalista sul fatto che l'uso che Facebook e altri social network fanno dei milioni e milioni di dati a loro disposizione vada monitorato e controllato, e che sia necessario trovare il modo per impedire che se ne abusi come troppo spesso succede, confessiamo di essere molto meno preoccupati delle sorti di quella che la Cadwalladr chiama "democrazia occidentale", e per niente nostalgici dei "secoli di norme elettorali" minacciate secondo lei dalle nuove tecnologie.


La giornalista ammette che "la democrazia è in crisi, che le nostre leggi non funzionano più", e aggiunge che a dirlo "è un report del parlamento"; è convinta che l'attuale non sia più una democrazia, e ciò per colpa della diffusione su internet di "bugie anonime, pagate con denaro illegale, dio sa proveniente da dove". Tutto vero... se non fosse che quella che lei chiama Democrazia non è mai stata tale, e che questa è la causa degli attuali problemi politici dei paesi occidentali (e non). Quanto alla diffusione di notizie false, sicuramente quella di cui parla c'è stata, ma... come andavano le cose, prima dell'esistenza della Rete e dei social network? Molto semplicemente, l'informazione proveniva dall'alto, senza alcuna possibilità per i normali cittadini e cittadine di verificarle e tantomeno di poter comunicare la propria esperienza e "verità" se non in forma di "lettere al direttore", facilmente manipolabili o cestinate tout court. Quanto alla pluralità di opinioni, era assicurata solo dall'esistenza di testate e canali di diverso orientamento, ma tutti rispondenti a precisi interessi politici e/o economici. La "Voce del Cittadino" non ha mai raggiunto le edicole né l'etere, se non dopo essere stata controllata, selezionata e opportunamente indirizzata. L'informazione (compresa quella dell'Observer) ha sempre funzionato in modo verticale: nelle "stanze che contano" si decide cosa dire e in quale forma al "popolo bue" dei lettori/telespettatori. Fino all'arrivo della Rete, che ha reso la comunicazione orizzontale. Certo, chi ha in mano alcuni strumenti (come Facebook), ha ancora maggiori possibilità di manipolare la "realtà percepita", rispetto ai singoli cittadini e cittadine, ma questi hanno finalmente modo di far comunque girare il proprio punto di vista, la propria esperienza e dunque, nell'incontro delle informazioni, farsi un'idea un po' più varia e vicina al vero del mondo che li circonda.

Certo, per adesso il caos e la cacofonia prevalgono inevitabilmente sul dibattito ordinato e razionale, ma lo spazio è comunque aperto e utilizzabile, e non a caso i governi lo soffrono sempre più e il loro desiderio di "controllarlo" si fa sempre più forte (in alcuni Paesi già lo si fa pesantemente). Per parte nostra, dunque, lasciamo alla signora Cadwalladr la preoccupazione per le sorti della pseudodemocrazia oligarchica e le splendide leggi elettorali, come il rimpianto per i bei tempi in cui erano solo lei e i suoi colleghi a calarci dall'alto le loro verità, quali che fossero. Noi auspichiamo un passaggio a una reale democrazia, nelle istituzioni come nell'informazione. E, da questo punto di vista, stiamo dalla parte della Rete.




mercoledì 3 aprile 2019

La presa per... le urne


Questa oligarchia travestita da democrazia appare ormai schizofrenica: da un lato arranca, con metà degli elettori che ormai non fanno neanche più la fatica di andare a votare, tanta è la disillusione (e il disgusto) nei confronti di partiti e politici; dall'altro svela spudoratamente la sua reale natura fregandosene di partiti ed elezioni mettendo il potere direttamente nelle mani di chi l'ha sempre avuto: impresa e finanza; i notabili, che hanno servito fedelmente la causa fino a qualche anno fa condividendo alcuni privilegi, sono infatti anche loro ormai praticamente inutili.

Cominciamo con le elezioni. Alle varie tornate recenti di elezioni regionali, il dato appare costante nelle varie zone d'Italia interessate: a votare è andato circa il 53% degli aventi diritto. In pratica, un elettore su due sembra aver capito che andare a votare è tempo perso, come ci insegnava Benjamin Constant.



Nel dettaglio: in Abruzzo l'affluenza è stata del 53,125%, con un calo, rispetto al 61,55% della precedente tornata, dell'8,43% (fonte: Fanpage.it).

In Sardegna alle urne si è recato il 53,75% degli elettori, con un più 1,5% rispetto al 2014 (fonte: Sky TG24).

In Basilicata ha votato il 53,58%, rispetto al precedente 47,62% del 2013 (fonte: Sassilive.it).
Non sono numeri da record negativo: nel 2014, alle regionali dell'Emilia Romagna l'affluenza fu del 37,71%, con un vero e proprio crollo rispetto al 68,07 del 2010 (fonte: Banca Dati Elettorale dell'Assemblea Legislativa/Regione Emilia Romagna).
Per noi che sosteniamo la necessità di un passaggio a una forma di governo realmente democratica che faccia a meno di partiti ed elezioni e metta il governo del paese direttamente nelle mani di cittadini e cittadine, dovrebbe essere una buona notizia, ma non lo è. Purtroppo questo rifiuto delle elezioni non è dettato dalla consapevolezza della natura del sistema e dunque dal desiderio di passare a un altro, davvero democratico, ma solo dall'aver verificato la distanza tra istituzioni (che però non vengono messe in discussione) e cittadini, e dal disgusto per come - con la fine delle ideologie, di cui nessuno auspica il ritorno, sia chiaro - il personale politico sia diventato, per insipienza e avidità, assolutamente impresentabile.


Se questa è la situazione delle istituzioni più prossime alla popolazione, che dire di quelle più lontane, stanziate a Bruxelles? Si stanno avvicinando le elezioni Europee, e per evitare un'affluenza alle urne ancora più bassa di quella delle Regionali, partiti e media stanno battendo da mesi la grancassa dell'allarme: populisti, fascisti, nazisti e terroristi (per non parlar dei migranti) minacciano la nostra Santa Democrazia! Il gioco, è facile prevederlo, funzionerà una volta di più, e le posizioni così radicalizzate spingeranno le candide anime degli spaventati elettori dei vari schieramenti a correre ancora alle urne in gran numero per... l'ennesimo voto assolutamente inutile, come argomentava Alexis de Tocqueville.


Voto doppiamente ininfluente, nel caso dell'Europa, perché come spiega il sociologo tedesco Wolfgang Streeck (foto sotto) in un'intervista riportata da il manifesto, queste elezioni non servono a niente, giacché "Il vero potere legislativo è diviso fra il Consiglio e la Corte di giustizia, quindi il voto per il parlamento di Strasburgo non avrà conseguenze politiche". E aggiunge: "L’UE è una comunità di governi ed élite nazionali che agiscono a livello continentale per poter realizzare politiche di austerità, sottraendosi alla responsabilità di fronte agli elettori. I popoli della periferia che si ribellano, come in Grecia, poi vengono puniti. Per interrompere questo ciclo serve una radicale democratizzazione di fronte a un’istituzione tecnocratica come l’Ue".



Naturalmente la "democratizzazione" auspicata da Streeck è solo la solita oligarchia nella quale qualche potere (comunque teleguidato da industria e finanza) torna ai politici. Temiamo che non otterrà nemmeno quella: quando il sistema occidental-capitalista azzanna qualcosa non la molla facilmente, e l'attuale struttura della politica europea dove le decisioni sostanziali vengono prese dai nominati e non dagli eletti funziona troppo bene, per chi effettivamente governa.

Il sociologo prosegue auspicando la conquista di "spazi di azione ‘in basso’ in cui realizzare politiche sociali". In basso c'è un'unica cosa che può spostare la bilancia dagli assetti di potere esistenti: una reale democrazia. Ogni cambiamento interno al sistema oligarchico non muterebbe niente di significativo.

Perciò, per parte nostra, continueremo il nostro capillare, lento lavoro di informazione per svelare l'effettiva natura dell'attuale pseudo democrazia. Quanto alle elezioni, continueremo a tenercene alla larga, osservando malinconicamente come i cittadini vengono, ancora e ancora, presi per... le urne.


lunedì 1 aprile 2019

La cosa più importante


Tra i libri segnalati dal blog di Beppe Grillo c'è anche quello di David Van Reybrouck (vedete più in basso la copertina).
Il recensore però non lo deve aver letto con la dovuta attenzione, perché non si è accorto della "scoperta" più importante del saggio dell'autore belga, e cioè che quella che ci siamo abituati a chiamare "democrazia" in realtà non lo è mai stata, ma anzi è nata proprio in funzione antidemocratica: si scelse (e Van Reybrouck elenca un buon numero di testi dei Padri Fondatori a dimostrazione di quanto ci svela) di governare tramite rappresentanti perché la sola idea di una reale democrazia faceva inorridire i mercanti e notabili usciti vincenti dalle rivoluzioni americana e francese. Perché, una volta liberatisi di nobili e aristocratici, avrebbero dovuto dividere il potere con il popolo? Meglio affidarlo a rappresentanti che condividessero i loro stessi interessi o vi si piegassero in cambio di una lucrosa "carriera" in politica. 
E questa non è cosa sulla quale si può sorvolare, perché da questo fatto dipende il funzionamento perverso del sistema di governo che ci fanno credere essere l'unico praticabile, proponendo come sola alternativa la tirannia.


In realtà un'alternativa esiste: il passaggio a una REALE democrazia. Nel suo libro (e l'abbiamo ripresa anche nel nostro "Democrazia davvero") Van Reybrouck, insieme allo studioso statunitense Terril Bouricius, si è anche avventurato a immaginare un'architettura istituzionale in grado di garantirne il funzionamento. Quello che manca per compiere un simile passo - l'UNICO capace di tirarci fuori dal pantano sempre più mefitico del sistema di governo rappresentativo basato su partiti ed elezioni - è la consapevolezza della natura oligarchica di quella che ci spacciano da due secoli per democrazia, messaggio assai difficile da far passare visto che, come insegnava Mark Twain, “è molto più facile ingannare la gente, piuttosto che convincerla che è stata ingannata”.



lunedì 14 gennaio 2019

Giornalisti che cascano dal pero


Nella rubrica delle "Lettere al direttore", sul Corriere della Sera, il signor Sergio Guadagnolo si interroga sulle "recenti espulsioni di alcuni parlamentari nel M5s", e si chiede se "le forze politiche con il pensiero unico, che al loro interno non permettono il dissenso, possono essere considerate democratiche".
Gli risponde il direttore Luciano Fontana: "Il tema della democrazia interna ai partiti è molto importante soprattutto nella tanto decantata era digitale della politica. Si è detto e scritto molto sulla partecipazione dei cittadini, sull’«uno vale uno», sull’avvento della democrazia diretta ma poi i partiti vengono guidati come caserme. Non si puniscono con l’espulsione solo comportamenti irregolari e illegali ma anche il dissenso e la minima deviazione dalle regole stabilite per tutti dai pochi che comandano davvero."
La natura non addomesticata del caotico (anche se poi pronto come tutti gli altri partiti  a inchinarsi ai diktat di chi davvero comanda in Europa) Movimento Cinque Stelle agita queste anime belle che sembrano scoprire solo ora e solo nei confronti del partito di Grillo quella che è da sempre la natura dei partiti. Di tutti i partiti. L'aveva indagata in modo esaustivo e lucido già più di mezzo secolo fa Simone Weil, come ricordiamo nel nostro "Democrazia davvero":

Weil analizza il comportamento dei membri di un partito, di qualsiasi partito. Se uno di essi si impegnasse in pubblico, ogni volta che deve esaminare un problema relativo al bene comune, a farlo cercando di scegliere per il meglio senza tener conto del proprio partito di appartenenza, verrebbe immediatamente osteggiato dai compagni e accusato di tradimento. Gli verrebbe chiesto perché mai abbia aderito alla loro organizzazione, ammettendo così candidamente che chi entra in un partito politico rinuncia a ricercare il bene pubblico. Quell’incauto verrebbe subito allontanato, “scomunicato”. 
E qui arriviamo alla seconda caratteristica dei partiti politici: la derivazione religiosa. 
“Il meccanismo di oppressione spirituale e mentale proprio dei partiti è stato introdotto nella storia dalla chiesa cattolica, nella sua lotta contro l’eresia”, afferma la filosofa. “Un convertito che fa il suo ingresso nella chiesa (...) ha visto nel dogma il vero e il bene. Ma varcando la soglia professa allo stesso momento di non essere colpito dagli anathema sit (“sia anatema!”), ovverossia di accettare in blocco tutti gli articoli di stretta fede. Questi articoli non li ha studiati. Persino a chi fosse dotato di un alto grado di intelligenza e cultura, una vita intera non basterebbe a questo studio, dato che implica anche quello delle circostanze storiche di ogni condanna. Come aderire ad affermazioni che non si conoscono? È sufficiente sottomettersi incondizionatamente all’autorità che le ha emanate. (…) Il movente del pensiero non è più il desiderio incondizionato, indefinito, della verità, ma il desiderio della conformità a un insegnamento prestabilito.” 


Chi si avvicina a un partito probabilmente ha riscontrato negli ideali da quello propagandati valori e scelte che condivide, ma naturalmente non può conoscere l’esatta posizione del partito in merito a ogni possibile problema della vita pubblica. Dunque, entrando in quell’organizzazione, esattamente come il fedele che aderisce a una chiesa, ne accetta a priori ogni scelta futura. Condividendone generalmente gli ideali (la propaganda), si affida per il resto all’autorità del partito, sottomettendosi a essa. E nel percorso che farà come membro di quel raggruppamento avrà due sole strade: continuare ad accettare le posizioni del partito senza discutere (e magari senza neanche esaminarle), oppure contestarle quando le ritenesse sbagliate. In questo secondo caso cosa può succedere? Che all’interno dell’organizzazione si creino diverse scuole di pensiero, quelle che nel linguaggio della politica vengono chiamate “correnti”. Per un tempo più o meno lungo esse possono convivere, ma prima o poi finiranno per scontrarsi, di solito in occasione di un congresso che vedrà uscire una mozione vincente e una o più mozioni perdenti. I sostenitori di queste ultime possono abbozzare e attendere una possibile rivincita in occasione di un successivo congresso o, esattamente come accade in ambito religioso, scegliere di uscire dal partito creandone un altro che abbia per ideale e programma quello contenuto nella mozione sconfitta. Si tratta né più né meno di uno scisma, o scissione, come visto più volte nella storia del Cristianesimo: l’organizzazione religiosa che ritiene di essere la chiesa autentica allontana, non ritenendoli più in linea con la dottrina ufficiale, alcuni dei suoi membri o viene da essi abbandonata per formare una nuova chiesa basata su una diversa interpretazione delle Scritture. Il fenomeno si è ripetuto più volte nel corso della storia. A causa di eresie e scismi le congregazioni religiose si dividono in diverse confessioni, ognuna delle quali reclama per sé lo status di vera e unica Chiesa. Non diversamente fanno i partiti, ognuno dei quali viene motivatamente ritenuto da Weil “una piccola chiesa profana armata della minaccia della scomunica.”


Si rasserenino, dunque, il signor Guadagnoli e il solerte direttore: il M5S è un partito come tutti gli altri, strumento funzionale al sistema oligarchico che ci governa spacciandosi per democrazia. Aspettarsi perciò di trovare quest'ultima nel funzionamento dei partiti è come sperare di trovare Chanel n. 5 nella cisterna di un camion degli spurghi. E Luciano Fontana, come praticamente tutti i suoi colleghi giornalisti, o non si è mai interrogato seriamente sulla natura di quella che chiama democrazia, o è in malafede.


A che serve un presidente?

Con la grancassa di giornali e tivù (e inevitabili riverberi sui social) sta andando in onda l'elezione del presidente della repubblica....