Nella rubrica delle "Lettere al direttore", sul Corriere della Sera, il signor Sergio Guadagnolo si interroga sulle "recenti espulsioni di alcuni parlamentari nel M5s", e si chiede se "le forze politiche con il pensiero unico, che al loro interno non permettono il dissenso, possono essere considerate democratiche".
Gli risponde il direttore Luciano Fontana: "Il tema della democrazia interna ai partiti è molto importante soprattutto nella tanto decantata era digitale della politica. Si è detto e scritto molto sulla partecipazione dei cittadini, sull’«uno vale uno», sull’avvento della democrazia diretta ma poi i partiti vengono guidati come caserme. Non si puniscono con l’espulsione solo comportamenti irregolari e illegali ma anche il dissenso e la minima deviazione dalle regole stabilite per tutti dai pochi che comandano davvero."
La natura non addomesticata del caotico (anche se poi pronto come tutti gli altri partiti a inchinarsi ai diktat di chi davvero comanda in Europa) Movimento Cinque Stelle agita queste anime belle che sembrano scoprire solo ora e solo nei confronti del partito di Grillo quella che è da sempre la natura dei partiti. Di tutti i partiti. L'aveva indagata in modo esaustivo e lucido già più di mezzo secolo fa Simone Weil, come ricordiamo nel nostro "Democrazia davvero":
Weil analizza il comportamento dei membri di un partito, di qualsiasi partito. Se uno di essi si impegnasse in pubblico, ogni volta che deve esaminare un problema relativo al bene comune, a farlo cercando di scegliere per il meglio senza tener conto del proprio partito di appartenenza, verrebbe immediatamente osteggiato dai compagni e accusato di tradimento. Gli verrebbe chiesto perché mai abbia aderito alla loro organizzazione, ammettendo così candidamente che chi entra in un partito politico rinuncia a ricercare il bene pubblico. Quell’incauto verrebbe subito allontanato, “scomunicato”.
E qui arriviamo alla seconda caratteristica dei partiti politici: la derivazione religiosa.
“Il meccanismo di oppressione spirituale e mentale proprio dei partiti è stato introdotto nella storia dalla chiesa cattolica, nella sua lotta contro l’eresia”, afferma la filosofa. “Un convertito che fa il suo ingresso nella chiesa (...) ha visto nel dogma il vero e il bene. Ma varcando la soglia professa allo stesso momento di non essere colpito dagli anathema sit (“sia anatema!”), ovverossia di accettare in blocco tutti gli articoli di stretta fede. Questi articoli non li ha studiati. Persino a chi fosse dotato di un alto grado di intelligenza e cultura, una vita intera non basterebbe a questo studio, dato che implica anche quello delle circostanze storiche di ogni condanna. Come aderire ad affermazioni che non si conoscono? È sufficiente sottomettersi incondizionatamente all’autorità che le ha emanate. (…) Il movente del pensiero non è più il desiderio incondizionato, indefinito, della verità, ma il desiderio della conformità a un insegnamento prestabilito.”
Chi si avvicina a un partito probabilmente ha riscontrato negli ideali da quello propagandati valori e scelte che condivide, ma naturalmente non può conoscere l’esatta posizione del partito in merito a ogni possibile problema della vita pubblica. Dunque, entrando in quell’organizzazione, esattamente come il fedele che aderisce a una chiesa, ne accetta a priori ogni scelta futura. Condividendone generalmente gli ideali (la propaganda), si affida per il resto all’autorità del partito, sottomettendosi a essa. E nel percorso che farà come membro di quel raggruppamento avrà due sole strade: continuare ad accettare le posizioni del partito senza discutere (e magari senza neanche esaminarle), oppure contestarle quando le ritenesse sbagliate. In questo secondo caso cosa può succedere? Che all’interno dell’organizzazione si creino diverse scuole di pensiero, quelle che nel linguaggio della politica vengono chiamate “correnti”. Per un tempo più o meno lungo esse possono convivere, ma prima o poi finiranno per scontrarsi, di solito in occasione di un congresso che vedrà uscire una mozione vincente e una o più mozioni perdenti. I sostenitori di queste ultime possono abbozzare e attendere una possibile rivincita in occasione di un successivo congresso o, esattamente come accade in ambito religioso, scegliere di uscire dal partito creandone un altro che abbia per ideale e programma quello contenuto nella mozione sconfitta. Si tratta né più né meno di uno scisma, o scissione, come visto più volte nella storia del Cristianesimo: l’organizzazione religiosa che ritiene di essere la chiesa autentica allontana, non ritenendoli più in linea con la dottrina ufficiale, alcuni dei suoi membri o viene da essi abbandonata per formare una nuova chiesa basata su una diversa interpretazione delle Scritture. Il fenomeno si è ripetuto più volte nel corso della storia. A causa di eresie e scismi le congregazioni religiose si dividono in diverse confessioni, ognuna delle quali reclama per sé lo status di vera e unica Chiesa. Non diversamente fanno i partiti, ognuno dei quali viene motivatamente ritenuto da Weil “una piccola chiesa profana armata della minaccia della scomunica.”
Si rasserenino, dunque, il signor Guadagnoli e il solerte direttore: il M5S è un partito come tutti gli altri, strumento funzionale al sistema oligarchico che ci governa spacciandosi per democrazia. Aspettarsi perciò di trovare quest'ultima nel funzionamento dei partiti è come sperare di trovare Chanel n. 5 nella cisterna di un camion degli spurghi. E Luciano Fontana, come praticamente tutti i suoi colleghi giornalisti, o non si è mai interrogato seriamente sulla natura di quella che chiama democrazia, o è in malafede.
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