Matteo Salvini, vicepresidente del Consiglio dell'attuale governo italiano, ha tolto la fiducia a quest'ultimo vagheggiando un ritorno alle urne con la richiesta agli elettori di dargli "pieni poteri". Naturalmente sono subito partiti gli allarmi per il pericolo che questa formula possa condurre a una nuova dittatura di stampo mussoliniano quale esito "non democratico" dell'invece democraticissimo attuale sistema di governo.
Non è così: l'esito totalitario è nella natura del sistema basato su partiti ed elezioni. Ne è l'approdo intrinseco e normale, e se - come ripetiamo da tempo - chiamassimo le cose col loro nome (e dunque oligarchia l'attuale forma di governo) tutto ci apparirebbe più chiaro.
Citiamo da "Democrazia davvero":
Da qualunque punto di vista si vogliano analizzate i partiti politici, quella che però non è mai cambiata nel tempo è la loro natura intrinseca. A questo proposito Yves Sintomer ne “Il potere al popolo” afferma che “sin dall’origine i partiti nascondevano un lato oscuro. Con loro emersero delle strutture burocratiche centralizzate e autoritarie, degli apparati capaci di concentrare nelle loro mani il massimo del potere a scapito della base, in sostanza un qualcosa di completamente diverso rispetto alla promessa di democratizzazione che sembravano incarnare.”
Da dove veniva quel “lato oscuro” ce lo spiega Simone Adolphine Weil, filosofa, mistica e scrittrice francese nota, oltre che per i suoi scritti, per le drammatiche vicende esistenziali che la portarono ad abbandonare l’insegnamento per sperimentare la condizione operaia e a impegnarsi come attivista partigiana nonostante la salute malferma. Vicina al pensiero anarchico e all’eterodossia marxista, conobbe Trotsky oltre che importanti personaggi della cultura francese dell’epoca. In “Appunti sulla soppressione dei partiti politici” pubblicato per la prima volta nel numero 26 del 1950 della rivista francese La Table Ronde, Weil analizza e disseziona con stupefacente lucidità quell’efficace (per il sistema oligarchico) strumento che è il partito politico individuandone due caratteristiche principali: il totalitarismo e la derivazione religiosa.
In merito al primo punto, ella spiega come nel pensiero politico francese del 1789 non rientrasse l’idea di partito, “se non come quella di un male da evitare”. Finché il club dei giacobini, da luogo di libera discussione, per la pressione della guerra e della ghigliottina non si trasformò in un partito totalitario. La concezione politica alla base di divisioni e lotte tra le varie fazioni durante il periodo del Terrore è secondo Weil ben rappresentata nella frase del sindacalista e rivoluzionario russo Michail Pavlovič Tomskij: “Un partito al potere e tutti gli altri in prigione”.
“Così”, commenta Weil “sul continente europeo, il totalitarismo è il peccato originale dei partiti.” E prosegue elencando le tre caratteristiche essenziali dei partiti:
“1) un partito politico è una macchina per fabbricare passione collettiva;
2) un partito politico è un’organizzazione costruita in modo da esercitare una pressione collettiva sul pensiero di ognuno degli esseri umani che ne fanno parte;
3) il fine primo e, in ultima analisi, l’unico fine di qualunque partito politico è la propria crescita, e questo senza alcun limite.
Per via di questa (...) caratteristica, ogni partito è totalitario in nuce e nelle aspirazioni. Se non lo è nei fatti, questo accade solo perché quelli che lo circondano non lo sono di meno.”
Alla luce di questa difficilmente confutabile lettura, il fascismo e il nazismo non ci appaiono più come una degenerazione della politica “democratica”, ma soltanto come il risultato della capacità di Benito Mussolini e Adolf Hitler di portare i propri partiti a prevalere tomskijanamente su quelli che li circondavano. Duce e führer non erano due mostri finiti per caso nell’agone politico, ma il frutto diretto e d’eccellenza della natura dei partiti.
Per fortuna, e torniamo alla cronaca politica, oggi ai partiti ideologici si sono sostituite le segreterie di partito (che non hanno più interesse - né la capacità - di "esercitare una pressione collettiva sul pensiero di ognuno degli esseri umani che ne fanno parte" plagiandoli come religioni laiche) o addirittura ristrette cricche riunite intorno a un leader che, senza più bisogno di stuoli di militanti "sul territorio", si limitano a inseguire poltrone che garantiscano loro compensi dorati e vicinanza ad ambienti corruttivi per arricchirsi ulteriormente; per farlo non creano nuove ideologie destinate a durare, ma si limitano a cavalcare l'insoddisfazione esistente offrendosi di volta in volta come "solutori" di crisi di cui sono concausa, quanto basta per ottenere il voto di una massa che ormai non sa più dove sbattere la testa ed è pronta ogni volta a votare quello che appare come "nuovo" e "diverso". Il Matteo di turno dura qualche anno, il tempo di mostrare che non è in grado di cambiare niente, poi - in quella che Bernard Manin chiama "politica dello spettacolo" e noi "politica del supermercato" - è destinato a essere sostituito sotto i riflettori e/o sugli scaffali da un altro prodotto meglio confezionato.
Quello che è certo è che industria e finanza, negli anni Venti terrorizzate dallo spettro della rivoluzione sovietica, oggi governano senza limiti né ostacoli il mercato globalizzato e non hanno dunque bisogno di tiranni locali a fare da argine ai "rossi", ma al massimo di governi-maggiordomo obbedienti e servizievoli. E quando qualche leader dimostra troppa indipendenza, foss'anche solo per egocentrismo narcisista, si limitano a fargli terra bruciata intorno sostituendolo col governo tecnico di turno (vedi Berlusconi-Monti).
Così succederà ancora, e ancora, e ancora. Finché non elimineremo questo sistema sedicente democratico a favore di una reale democrazia.
Nessun commento:
Posta un commento